Gli attentati di Bruxelles del 22 marzo 2016 sono gli ultimi di una serie compiuti da un’unica cellula jihadista, a cui vengono attribuiti gli attentati al museo ebraico del maggio 2014 a Bruxelles (4 morti), di Parigi nel novembre 2015 (130 morti) e a Bruxelles il 22 marzo scorso (35 morti).

QUESTA RETE È COMPOSTA in gran parte da giovani europei, d’origine nord-africana, affascinati dalla retorica jihadista, partiti combattenti fra le fila del cosiddetto Stato islamico. Per molti di loro, la radicalizzazione è arrivata dopo un percorso nella fila della delinquenza comune. A coordinare il gruppo sul suolo europeo è Abdelhamid Abaaoud, nato e cresciuto a Molenbeek, ucciso dalla polizia francese pochi giorni dopo gli attentati di Parigi del novembre 2015.

Se i recenti attentati sul suolo europeo sono l’opera di singoli individui, radicalizzati su internet, e compiuti con armi improprie (come nel caso di Nizza, Berlino e forse anche quello di Londra), quelli di Parigi e Bruxelles sarebbero invece l’opera di un’unica cellula che avrebbe goduto del supporto di una rete internazionale del terrore, capace mobilitare uomini e mezzi.

LE INDAGINI DECOLLANO a partire dalla fuga di Salah Abdeslam, mancato kamikaze ed unico sopravvissuto del commando che semina il terrore al Bataclan e nelle strade parigine. Il rientro (non previsto) verso Bruxelles permette di far luce sulla cellula jihadista, in parte già ridimensionata dall’operazione di Verviers (cittadina sud del Belgio) agli inizi del 2015, nei giorni successivi la strage alla redazione di Charlie Hebdo. L’attenzione degli inquirenti si sposta quindi sulla capitale europea ed in particolare a Molenbeek.

Braccati dalla forze dell’ordine, i membri della cellula jihadista anticipano i tempi e cambiano obiettivo, ripiegando su Bruxelles invece che colpire nuovamente Parigi durante gli europei di calcio. Le indicazioni arriverebbero direttamente dalla Siria. A coordinare il gruppo è Abou Ahmad, il cui vero nome sarebbe Oussama Atar, presunto braccio destro di Al Baghdadi, il califfo dello Stato islamico. La storia di questo cittadino belga-marocchino di 32 anni, tutt’ora ricercato, ha dell’incredibile. Scarcerato dal penitenziario di Abu Ghraib, in Iraq, grazie a una campagna contro gli abusi carcerari promossa da Amnesty international e da alcuni partiti belgi di centro sinistra, rientra in Belgio nel 2012 prima di prendere definitivamente la via della Siria.

AMBIGUA ANCHE LA VICENDA di un altro dei componenti della cellula, il belga Ibrahim El Bakraoui, uno dei kamikaze degli attentati del 22 marzo. Ricercato in Belgio per rapina e traffico internazionale d’opere d’arte, viene arrestato in Turchia per affiliazione allo Stato islamico e, successivamente, espulso verso l’Olanda con una comunicazione tardiva che ne impedisce il fermo (e con l’aiuto delle autorità turche, secondo alcune ricostruzioni giornalistiche).

SARÀ PROPRIO EL BAKRAOUI, insieme a Naijm Lacharaoui l’artificiere della cellula, a ricevere istruzioni da Abou Ahmad, presunto numero due dello Stato islamico, per la pianificazione del rapimento di personalità note, al fine di chiedere il rilascio di Medhi Nemmouche (il primo foreign fighter a colpire in Europa) arrestato in qualità di presunto autore dell’attentato al museo ebraico di Bruxelles nel 2014. Anche questa possibilità viene abbandonata.

È l’arresto di Salah Abdeslam il 18 marzo a Molenbeek ad accelerare i tempi. La mattina del 22 marzo ciò che resta della cellula jihadista entra in azione intorno alle ore 8 all’aeroporto di Zaventem e circa un’ora più tardi alla stazione della metropolitana di Maelbeek. Il bilancio è di 35 morti e 340 feriti, nonostante l’attacco improvvisato. All’aeroporto di Bruxelles esplodono solo due dei quattro ordigni previsti. Solo uno dei due kamikaze della metropolitana si lascia esplodere, viaggiando lungo la linea metropolitana per circa venti minuti come se il luogo dell’esplosione fosse stato deciso sul momento.

AD OGGI restano ancora tanti gli interrogativi, su come questa rete sia stata finanziata e di quali appoggi abbia goduto. Ma soprattutto resta da capire se ci siano ancora altri componenti della cellula jihadista pronti ad agire e dove sarebbe nascosto il presunto arsenale di armi ed esplosivi non ancora recuperato, tanto da giustificare il livello d’allerta in Belgio di 3 su una scala di 4, con possibilità di attacchi terroristici «possibili e veritieri».