I paesi baltici costruiranno la loro Linea Maginot e «in tempi brevi» dato che la «minaccia russa è imminente e reale». Non hanno dubbi i leader di Estonia, Lettonia e Lituania, ai quali di recente si sono aggiunte anche la Finlandia e la Norvegia. La paura cresce e intanto dal Palazzo di vetro dell’Onu il ministro degli Esteri russo Lavrov tuona: «Nonostante il completo fallimento dell’Ucraina sul campo di battaglia gli occidentali li spingono a continuare». Eppure nei dintorni di San Pietroburgo è stata colpita un’altra infrastruttura energetica, la seconda in meno di una settimana.

I VERTICI militari russi non hanno mai spiegato come sia possibile che i droni ucraini riescano puntualmente a colpire obiettivi sensibili a così grande distanza dalla frontiera senza essere intercettati prima dalla contraerea. È noto che al capo queste falle nella sicurezza danno molto fastidio. Per due motivi: primo perché non si possono nascondere e rendono palese i difetti della Difesa di Mosca; secondo perché portano la guerra in casa. I civili russi ne parlano a bassa voce, si scambiano opinioni sull’accaduto e giudicano. Ma poi, per fortuna, pochi hanno il coraggio di rischiare fino a 15 anni di carcere per criticare l’operazione militare speciale e ancora meno sono i russi che criticano apertamente il governo. È di ieri la notizia che alla Duma è attualmente in discussione una misura per consentire la confisca dei beni delle persone condannate per diffusione di false informazioni sulle forze armate. In altri termini: a chi le critica. Dire, ad esempio, che il terminal di gas della società russa Novatek, nel porto di Ust-Luga, vicino San Pietroburgo è stato lasciato sguarnito dall’aviazione russa e che quindi gli ucraini l’hanno colpito con successo, potrebbe diventare presto reato. Infatti, la colpa è del «regime di Kiev che continua a mostrare il suo volto bestiale. Stanno colpendo le infrastrutture civili, la gente». Ma, senza voler assegnare nessun attestato di legittimità ai belligeranti, fin dall’inizio del conflitto i missili russi hanno colpito i silos di petrolio di Odessa, le centrali termiche nell’est, i gasdotti, le centrali idroelettriche e li hanno sempre dichiarati «obiettivi legittimi». Diverso è il discorso per l’attacco al mercato di Donetsk.

SECONDO le autorità filorusse della regione separatista, domenica un missile ucraino ha colpito il mercato del capoluogo regionale provocando 27 morti. Denis Pushilin, capo dell’amministrazione separatista, insignito da Vladimir Putin in persona del potere politico sul Donetsk, ha accusato le forze armate ucraine di aver lanciato «colpi di artiglieria da 155 mm e 152 mm» da due centri a est della città. Secondo il ministero della Difesa russo si tratta di «un brutale attacco terroristico». Per ora è impossibile verificare le informazioni fornite dai separatisti, ma in rete nelle ultime 48 ore sono circolati diversi filmati e foto che mostrano il mercato dopo l’attacco con diversi corpi esangui al suolo. Se confermato si tratterebbe di uno degli attacchi ucraini più devastanti contro i civili del Donbass. In ogni caso nella Repubblica popolare di Donetsk è stata indetta una giornata di lutto. Da Kiev negano e minimizzano «Donetsk è ucraina, non attaccheremmo mai il nostro stesso territorio».

MA IL PROBLEMA per il Cremlino non viene solo dall’estero. Stando al ministero dell’Interno, dall’inizio della guerra in Europa dell’Est il territorio russo ha subito ben 220 atti di sabotaggio. «Gli attacchi sono stati portati a termine in 58 distretti e si è trattato soprattutto di attentati incendiari a uffici di registrazione e arruolamento militare. Nell’85% dei casi i colpevoli sono stati identificati per un totale di 220 persone, tra cui 15 minorenni». Per i sabotaggi alle ferrovie sono state denunciate 141 tra cui 59 adolescenti.
Intanto Kiev continua a chiamare a raccolta gli alleati. Ieri il neopremier polacco, Donald Tusk, si è recato in vista in Ucraina per tentare di «appianare le divergenze» con i vicini e «discutere di nuove strategie comuni per la vittoria ucraina».