«Non facciamone un dramma». Subito dopo la spaccatura il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Balboni dà il la. L’assolo della premier arriva in serata: «Il terzo mandato non era nel programma di governo. Ci sono state visioni diverse e ne abbiamo discusso con massima serenità. Non crea alcun problema per governo e maggioranza». In effetti più che di ricucire una divisione insanabile la diplomazia della maggioranza si era occupata nei giorni scorsi di studiare una formula che permettesse di minimizzarla. La conta è finita 16 a 4. Contro l’emendamento della Lega sul terzo mandato per i governatori si sono schierati tutti tranne Iv. Se fosse passata la linea del Pd, che proponeva a tutta l’opposizione di disertare il votio, la lacerazione sarebbe stata ancora più clamorosa. La Lega in realtà se lo augurava: «Così si vedrebbe che Meloni non è in grado di mediare nella maggioranza», faceva il tifo un generale del Carroccio.

Giorgia Meloni
Ci sono state visioni diverse e ne abbiamo discusso con massima serenità. Non c’è alcun problema per governo e maggioranza

IN PRIMA PERSONA, però, la Lega non poteva che far propria la formula calibrata in base al principio del minor danno possibile, quella messa in opera ieri ma già anticipata nei giorni scorsi. Il governo ha dato parere negativo sull’emendamento per il terzo mandato dei sindaci. La Lega, solerte, lo ha ritirato senza soffrirne affatto, non avendo interessi diretti su quel fronte. In compenso lo stesso governo ha confermato la scelta neutrale sui governatori: si è rimesso al parere della commissione e la Lega ha potuto quindi mantenere l’emendamento senza che la cosa suonasse come una sfida alla premier. L’espediente serve a negare che lo scontro coinvolga il governo e i massimi livelli della maggioranza. Ma allo stesso tempo, proprio perché in apparenza non sono in ballo i leader ma solo l’orientamento dei parlamentari, permette alla Lega di tornare alla carica.

Salvini sembra deciso a farlo immediatamente: «La commissione ha bocciato l’emendamento ma sovrana è l’aula». Cosa possa cambiare nel giro di pochi giorni lo sa solo lui. A meno che non pensi davvero, come temono nello stato maggiore di FdI, che speri in una sconfitta di Paolo Truzzu domenica in Sardegna. E’ il candidato imposto con le cattive dalla premier: se finisse sconfitto in una prova che veniva data per già vinta sino a pochi giorni fa a pagarne il prezzo sarebbe lei, mentre la Lega ne uscirebbe rafforzata nel braccio di ferro sul terzo mandato. In ogni caso di qui alla scelta del candidato nel Veneto c’è tempo e la Lega farà il possibile per evitare la conquista della sua roccaforte da parte dell’alleata, anzi della «amica», Giorgia.

NON CHE SALVINI abbia idea di come costringere la premier ad aprire un varco rinunciando a prendersi la regione del nord. Di minacce in campo ce ne sono molte ma almeno per ora sembrano granate a salve. Calderoli ventila una campagna per limitare a due anche i mandati dei parlamentari. Zaia fa capire che potrebbe mettersi di mezzo perché «quando i governi non fanno quel che il popolo vuole si scollano dal popolo». La realtà è che gli elementi in campo, nei prossimi mesi, saranno molti e tutti poco prevedibili.

La rivolta degli amministratori è bipartisan. Esplode in maniera più vistosa nel Pd ma coinvolge anche la destra e non è un elemento che i leader possano prendere troppo sotto gamba. L’esito delle elezioni europee sarà determinante e nella maggioranza rischiano un po’ tutti. Il congresso di Fi che sta per iniziare incoronerà Tajani, con il mandato, almeno per ora, di dimostrare che il partito azzurro può sopravvivere anche senza il Cavaliere. Ma se la percentuale alle europee fosse troppo bassa la partita suonerebbe come già persa e a traballare sarebbe la candidatura di Cirio, il governatore uscente in Piemonte. Se invece l’understatement di Tajani fosse premiato e Fi superasse la Lega a restare senza più carte da giocare sarebbe Salvini. Senza contare l’ombra dell’inchiesta sul Ponte.

LA MOZIONE di sfiducia di Calenda è poco più di una boutade ma se l’inchiesta prendesse corpo le cose cambierebbero di molto. La prova delle europee non è sicura neppure per Meloni: se non supererà nettamente il risultato del 2023 sarà una vittoria numerica ma una sconfitta politica. Non a caso la sua candidatura non è più certa: con lei in lista ogni risultato al di sotto del 30% la indebolirebbe invece di rafforzarla.

Di certo le tensioni saranno comunque tenute a bada fino all’approvazione dell’autonomia differenziata, che per la Lega è il traguardo principale. Poi tutto potrebbe cambiare.