Salah Abdeslam «sarebbe pronto a collaborare» ma «si rifiuta d’essere estradato in Francia». Questo è quanto dichiarato in un primo momento dal suo avvocato Sven Mary, dopo un colloquio di appena 10 minuti nel carcere di massima sicurezza di Bruges, dove Salah è detenuto in un regime di isolamento. Nella tarda serata, però, una dichiarazione del legale pubblicata da Le Soir sembrava smentire quanto affermato in precedenza, lasciando intendere che Salah potrebbe recarsi in Francia «molto presto». La cattura di Salah Abdeslam, unico sopravvissuto del commando del 13 novembre, potrebbe far luce sulla strage di Parigi e dare un’immagine diversa del terrorista jihadista intransigente e pronto al gesto finale del martirio.

«Non voleva morire né a Parigi, né a Molenbeek» ha fatto sapere Salah per voce del suo avvocato. Salah infatti al momento dell’arresto non era armato e non ha opposto resistenza. La sua intenzione era quello di farsi catturare dalle forze dell’ordine dopo quattro estenuanti mesi di latitanza ha fatto intendere il suo avvocato all’uscita dal carcere.

La volontà di collaborare pienamente alle indagine e, come sperano gli inquirenti belgi e francesi, di rivelare la rete che ha organizzato gli attentati del 13 novembre scorso rappresenta un’eccezione nel panorama jihadista. Si tratta del primo caso, se pensiamo al silenzio di Mehdi Nemmouchi, sospetto attentatore delle strage al museo ebraico nel centro di Bruxelles lo scorso 24 maggio 2014 catturato e detenuto in Francia (nonostante la domanda d’estradizione del Belgio). Autore di una sparatoria che ha causato la morte di 4 persone, ha sempre rifiutato di collaborare con gli inquirenti. La volontà di Salah di «vuotare il sacco vale oro» ha dichiarato l’avvocato Mary che ha poi rincarato la dose aggiungendo che sarebbe il caso di «valorizzare l’inchiesta belga», rispetto a quella francese.

Questo eccentrico penalista quarantenne, dai metodi non sempre ortodossi, è un profondo conoscitore del panorama jihadista. Sempre alla ricerca della visibilità mediatica, Sven Mary ha difeso Fouad Belkacem, accusato di aver creato una rete criminale per l’invio di giovani foreign fighters in Siria e di aver fondato l’associazione Sharia4Belgium, sciolta nel 2015 per proselitismo ed istigazione al terrorismo religioso. La sua strategia sembrava interessata a evitare il passaggio del suo assistito nelle mani della giustizia francese, sfruttando le divisioni interne al governo belga, fra chi vorrebbe l’estradizione e chi invece preferirebbe dare priorità del mandato d’arresto del Belgio rispetto a quello europeo. Sven Mary è intenzionato a giocare la partita sul piano politico sfruttando le tensioni presenti nel panorama politico belga e la dicotomia fra i partiti francofoni da una parte e quelli fiamminghi dall’altra.

Al centro delle tensioni il maggiore partito di governo la Nva (partito nazionalista fiammingo di estrema destra) colpevole di aver duramente criticato l’operato del sindaco di Molenbeek, Françoise Scheperman (del partito liberare MR e principale alleato di governo) creando grande imbarazzo nella maggioranza di governo. Ci sono poi le tensioni fra i partiti di lingua fiamminga e di quelli francofoni. In particolare il Partito Socialista (oggi all’opposizione a livello federale) accusato di lassismo nella gestione della città di Bruxelles. Ancora una volta capofila delle polemiche la Nva, partito di governo e d’opposizione, che ha duramente criticato l’operato dei partiti francofoni, nel tentativo di ambire ad una futura gestione della capitale belga (a maggioranza francofona).

Resta da chiarire il ruolo di Salah Abdeslam per le stragi del 13 novembre. Sulla stampa belga l’immagine di Salah, di piccolo spacciatore di quartiere e la mancata rete di sostegno di cui avrebbe dovuto godere durante la sua latitanza (avanzata dall’ex capo della sezione anti-terorismo dei servizi segreti del Belgio, André Jacob) non si addicono a quella della mente delle stragi.

Chi invece sembra aver diretto le operazioni da Bruxelles sono Mohamed Abrini, amico d’infanzia di Salah, presunto combattente jihadista, e Soufian Kayal la cui vera identità resta ancora un mistero. Entrambi in fuga, potrebbero essere loro ad aver ricevuto il messaggio «siamo pronti, si comincia» dal cellulare di uno dei terroristi del commando che ha fatto 93 morti nel Bataclan la sera del 13 novembre.