Nei porti del Mediterraneo, tra pescatori, marinai e avventurieri, si è parlata per secoli una lingua franca impastata di acqua salata. Era pronunciata con molti accenti e conosciuta con vari nomi: uno di questi era sabir. Dall’idioma del dialogo tra le sponde del mare e tra popoli fedeli a religioni diverse ha preso il nome un festival che dal 2014 vaga per il sud dell’Italia e guarda al Mediterraneo come possibile spazio di incontro e pace, a partire dalle migrazioni che lo attraversano.

Dopo le edizioni di Lampedusa, Pozzallo, Siracusa, Palermo e Lecce l’iniziativa si è allontanata dalla costa per arrampicarsi tra i Sassi di Matera, dal 12 al 14 maggio. «Anche se non affaccia sul mare Matera è una città dalla storia antica, segnata dalla cultura mediterranea. E poi è uno splendido teatro dove accogliere l’agorà di organizzazioni internazionali e società civili che con questo festival ci proponiamo di mettere in relazione», dice Filippo Miraglia responsabile immigrazione dell’Arci.

«C’è chi non ha memoria storica / bombardato degli eventi si dimentica», hanno cantato i Krikka Reggae in piazza San Francesco. Nel suo passato recente, quello del Novecento, Matera ha conosciuto l’emigrazione e la guerra. Prima città meridionale a insorgere in armi contro i nazifascisti, il 21 settembre 1943, e poi a ribellarsi per la terra ai contadini, subito dopo la fine del conflitto mondiale. Nel 1948 il Partito comunista sollevò la questione che la rende famosa nel mondo: quella dei Sassi, dove abitavano circa 15mila persone trasferite in case vere dopo una legge del 1952.

Vista del centro storico di Matera, foto di Giansandro Merli

Il recupero dei Sassi iniziò 30 anni dopo, poi nel 1993 la città diventò patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco. Proiettata in tutto il mondo sullo sfondo della Passione di Cristo di Mel Gibson dal 2004, nel 2019 Matera è stata capitale europea della cultura. Grandi eventi che levigano i palazzi, sbiancano le pietre e trasformano i Sassi in B&B e le trattorie in bistrot. La crapiata, zuppa di legumi cucinata tradizionalmente il primo agosto, è ancora buonissima ma il turismo l’ha resa più salata.

Nella bomboniera del centro storico non si sente il rumore del mare, ma quello del torrente Gravina che scorre a valle. Tra queste vie e palazzi, comunque, Sabir ha portato gli echi e le storie di ciò che accade nel Mediterraneo: 70 le organizzazioni e le istituzioni coinvolte in 47 eventi dove hanno preso parola 150 relatori. Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Spagna, Francia e Italia i principali paesi di provenienza.

Il festival è stato promosso da Arci insieme a Caritas, Acli e Cgil, con la collaborazione di Asgi e Carta di Roma. Nelle ultime due edizioni, quella salentina di ottobre scorso e quella appena conclusa in Basilicata, hanno fatto irruzione da est due conflitti: dal lontano Afghanistan e dalla vicina Ucraina. Perché ogni guerra produce morte, devastazione e popoli costretti alla fuga. I residenti diventano profughi e per la comunità internazionale si pone il dovere di accogliere. Non succede sempre e mai allo stesso modo. Così il «doppio standard» dei governi europei verso i profughi ucraini e quelli che arrivano dal mare è stato un filo rosso che ha attraversato le iniziative culturali, musicali, di dibattito e formazione.

Il dibattito sul soccorso nel Mediterraneo, foto di Giansandro Merli

Tra i temi affrontati i possibili canali di accesso legale al territorio europeo che esistono ma sono osteggiati dai paesi membri. L’impatto della crisi climatica sugli spostamenti di persone e il ruolo del giornalismo nel raccontare questi fenomeni. La violenza come vera strategia anti-migrazioni adottata da Unione Europea e Frontex.

Amministratori locali e ricercatori si sono confrontati sullo stato del sistema di accoglienza. Sindacati e attivisti hanno discusso di lavoro migrante e caporalato. Rappresentanti politici e persone senza cittadinanza dell’esigenza di una nuova legge a 30 anni dalla 91/92. In un workshop si è parlato del ruolo delle donne nei contesti di crisi (è intervenuta anche Luciana Castellina). In un altro dei rom nel Mediterraneo.

Organizzazioni libiche, tunisine, algerine, marocchine ed europee hanno affrontato il mancato riconoscimento dei corpi restituiti dal mare e l’oblio dei dispersi. Migliaia e migliaia di vite sparite nel nulla. Perché l’ostilità verso chi attraversa i confini, incarnata da 30 anni di politiche europee, ha trasformato il Mediterraneo da luogo di incontro e unione in frontiera che separa e uccide. E allora Sabir serve proprio a questo: a ricostruire una lingua comune tra le due sponde del mare, attraverso la grammatica dei diritti umani e di una libertà di movimento che valga davvero per tutti.