Il centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Macomer, in provincia di Nuoro, è stato aperto nel gennaio del 2020 all’interno di un ex carcere di massima sicurezza. Dei cinquanta posti disponibili ne sono occupati a oggi trentotto. Nato ufficialmente, come tutti i Cpr, per essere uno strumento di contrasto dell’immigrazione illegale, in realtà è un luogo dove la dignità e i diritti fondamentali delle persone sono frequentemente violati. Ieri a Macomer il Comitato No Cpr Sardegna, del quale fanno parte quindici tra gruppi politici e associazioni di base, ha annunciato in una conferenza stampa una manifestazione per chiedere la chiusura della struttura. L’appuntamento è a Macomer sabato prossimo, 30 ottobre.

«I Cpr – denunciano gli organizzatori della protesta – sono carceri etniche gestite da società private, il cui interesse è il profitto e non una degna assistenza dei reclusi e delle recluse. E Macomer non fa eccezione». Diverse volte gli ospiti del centro hanno protestato per denunciare le condizioni di vita cui sono costretti. Difficile attivare le procedure di controllo. Avvocati e garanti locali trovano molte difficoltà a parlare con i loro assistiti e a controllare il funzionamento del centro. «Constatiamo – si legge nel rapporto “Buchi neri” recentemente diffuso da Cild (Coalizione italiana libertà e diritti civili) come a oggi si stiano ancora registrando, da parte dei garanti locali, criticità di accesso nel Cpr di Macomer, a causa di presunte problematiche di competenza. Ossia non si comprende quale tra i garanti locali di Tempio, di Nuoro e di Oristano sia titolare a esercitare le funzioni di garanzia per il centro. Sinora soltanto il garante locale di Oristano è riuscito ad avere accesso alla struttura, ma esclusivamente come componente della delegazione di due consiglieri regionali che stavano effettuando un sopralluogo».

Il valore dell’appalto per il Cpr di Macomer di 1.877.896 euro. Ad aggiudicarselo è stata, in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la società Ors Italia. «Il Gruppo Ors – si legge nel rapporto Cild – è una società, con sede a Zurigo, attiva da più di trent’anni nei settori dell’accoglienza e della detenzione amministrativa dei migranti in tutta Europa. Secondo l’ultima relazione aziendale del 2020, il Gruppo ORS, che conta 1300 dipendenti, gestisce strutture di accoglienza e trattenimento in quattro paesi europei: Svizzera, Germania, Austria, Italia. Il gruppo è stato al centro di inchieste giornalistiche che hanno tentato di comprendere chi vi fosse dietro la società: Ors Holding risulta, infatti, partecipata per intero dalla Oxz Holding (Ox Group) di Zurigo. Il gruppo è stato acquisito nel 2013 da un fondo di private equity controllato dalla londinese Equistone Partners, uno spin-off della banca Barclays, attivo dal 2011». «Nel 2015 – si legge ancora nel rapporto Cild – Ors è stata oggetto di un rapporto di Amnesty International che ha denunciato le condizioni inumane di accoglienza dei migranti nel centro austriaco di Traiskirchen: progettato per 1.800 persone, era arrivato a ospitare 4.600.

La logica, in quel centro come in tutte le strutture gestite da Ors, sembra essere sempre la stessa: taglio dei costi e massimizzazione del profitto con risparmi su visite sanitarie, corsi di formazione, penuria di cibo, qualità degli alloggi».

Insomma, mancanza di trasparenza sul punto decisivo del rispetto dei diritti civili e della dignità delle persone e in più gestione privata con precedenza assoluta ai profitti. Contro tutto questo la manifestazione di sabato prossimo a Macomer.