Con il ritiro della candidatura del presidente romeno Klaus Iohannis, arriva il via libera per Mark Rutte, premier olandese uscente, come segretario generale della Nato e successore dell’attuale segretario Jens Stoltenberg. La strada era stata aperta subito prima dal premier ungherese Viktor Orbán, che aveva tolto il suo veto, dopo aver tenuto a lungo l’Alleanza atlantica sulle spine, cui si era accodata la Slovacchia. Ora con il sostegno di tutti i 32 Paesi della Nato, Rutte ha in tasca il mandato che prenderà il via il 2 ottobre. Quattro settimane dopo la sua nomina ufficiale l’America andrà al voto con il rischio di veder tornare alla Casa bianca Donald Trump che promette di ribaltare completamente il sostegno degli Stati uniti all’Ucraina. Per Rutte si annuncia una missione ardua.

È PROPRIO dalla Romania che arriva invece la doccia gelata sulla tessitura dei rapporti tra lo stesso Orbán e Ecr, il gruppo di Giorgia Meloni in Europa. Il casus belli sembra tutto interno, ma le sue ripercussioni non lo sono. Mercoledì i conservatori annunciavano di essere diventati terzo gruppo all’Eurocamera, a quota 83 seggi, grazie all’ingresso di diverse nuove delegazioni nazionali, superando così i liberali di Renew Europe che però giusto ieri hanno accolto un eurodeputato belga, arrivando a 81 membri. Tra le adesioni al raggruppamento conservatore la più pesante è quella dei cinque deputati del partito ultranazionalista Alleanza per l’unione dei romeni (Aur), formazione che sostiene posizioni anti-ungheresi, ovvero ostili alla minoranza magiara presente oltreconfine. Il loro arrivo, previa firma di una dichiarazione di sostegno all’Ucraina imposta dal partito di Meloni, ha fatto esplodere la rabbia del capogruppo di Fidesz (il partito che fa capo al premier ungherese Viktor Orbán) a Strasburgo Mate Kocsis, che giudica «non negoziabile» la presenza in Ecr di Aur: o noi o loro.

NELLA GARA DEI NUMERI tra gruppi parlamentari la posta in gioco è alta. I numeri peseranno nel voto per l’elezione del presidente della Commissione e avranno impatto anche sulla distribuzione degli incarichi di vicepresidenza dell’Aula e presidenza delle commissioni parlamentari della nuova legislatura. Dal 2021 gli eletti di Fidesz all’Eurocamera, in seguito alla fuoriuscita dal Ppe, sono finiti tra i non-iscritti, ma soprattutto, nei mesi scorsi, Orbán ha reiterato l’appello per un gruppo comune, auspicando prima delle elezioni una coalizione guidata dalle due donne della destra europea: Giorgia Meloni e Marine Le Pen.

LE DUE LEADER rimangono separate, la prima alla guida dei Conservatori di Ecr, la seconda con il partito che esprime la delegazione più grande dentro Identità e democrazia (Id), di cui fa parte anche la Lega di Matteo Salvini. E a pochi giorni dalle riunioni costitutive dei rispettivi gruppi, il caso Orbán complica molto l’ipotesi unitaria, a cui stavano lavorando entrambi i gruppi, e che è stata esplicitamente caldeggiata dalla componente polacca dentro Ecr.

Chi non sembra essere né troppo sorpreso né troppo dispiaciuto è il presidente del gruppo Ecr a Strasburgo, il meloniano Nicola Procaccini. In un punto stampa tenuto ieri all’Eurocamera, Procaccini – reduce dalle accuse di «saluto gladiatorio» nell’inchiesta di Fanpage su Gioventù nazionale – ha tenuto a precisare intanto che il Fidesz «non ha mai fatto richiesta per unirsi a Ecr», e che comunque c’è un motivo per cui Aur è stata ammessa. È la condicio sine qua non per i meloniani europei, e si chiama Ucraina. Il partito romeno «ha firmato una dichiarazione formale per il sostegno all’Ucraina. Senza quella, l’adesione al gruppo Ecr non sarebbe stata possibile», scandisce Porcaccini. «È una linea rossa per noi, siamo stati tra i più duri contro il regime russo e tra i più vicini al popolo ucraino». Ne consegue che «se altre delegazioni chiederanno l’adesione dovranno firmare la dichiarazione», ha detto ancora riferendosi alla formazione ungherese.

A COSTO DI DELUDERE gli alleati del Pis, che hanno minacciato di abbandonare Ecr se manca Fidez, FdI va per la sua strada, che porta dritta a Kiev. Tutto il contrario di quanto dice e fa il leader ungherese, che a quanto trapela da Bruxelles, continua a mettersi di traverso sull’Ucraina. Tanto che nel prossimo Consiglio europeo di fine mese i leader potrebbero scegliere di optare per la strada della maggioranza qualificata quando si deciderà degli aiuti a Kiev. Togliendo così a Budapest il potere di veto.
FdI fa di tutto per rimanere al tavolo delle trattative. Orbán è un alleato possibile, ma anche scomodo. E comunque è lui che deve stare alle regole della premier italiana, non viceversa, sembra dire FdI. È ancora Procaccini a sottolineare che «Ecr e Ppe sono vicini sui contenuti». Guardare al centro con tempismo perfetto. O forse, sospetto.