Il procuratore speciale Robert Mueller che conduce l’indagine sul Russiagate, ha formalmente incriminato le prime tredici persone, tutte russe, e tre società, inclusa la Internet Research Agency, con sede a San Pietroburgo e conosciuta come la «fabbrica dei troll».

Nelle 37 pagine consegnate da Mueller, si legge che i russi hanno rubato l’identità a cittadini americani per spacciarsi come attivisti politici al fine di diffondere propaganda pro Trump, facendo leva su temi come immigrazione, islam e questioni razziali, investendo anche migliaia di dollari per acquistare server americani e spazi pubblicitari. Si parla di 1,25 milioni di dollari.

Tra gli sforzi c’era quello dichiarato di tenere le minoranze lontane dalle urne. Nel rapporto si sostiene che alcuni dei russi avessero contatti con il comitato elettorale di Trump, che però non conosceva la vera identità degli interlocutori.

Questo documento è la prima parte di un rapporto, non la conclusione delle indagini; mancano, infatti, altre conclusioni, come quelle sull’attacco hacker ai server del Partito democratico avvenuto durante la campagna elettorale Hillary Clinton, o l’ipotesi di ostruzione alla giustizia compiuta da Trump riguardo l’indagine sulla Russia per mano dell’Fbi