Il governo di Kim Jong-un esporta schiavi in Russia, denuncia la Confederazione Indipendente del Lavoro, dopo il ritrovamento del corpo senza vita di un operaio nordcoreano a San Pietroburgo. La tratta di lavoratori dalla Corea del Nord verso la Russia era già stata denunciata varie volte dai sindacati e dalle associazioni dei diritti umani, ma era sempre stata negata dal Cremlino. Secondo il sindacato russo l’operaio deceduto era impegnato, assieme ad altri cento suoi connazionali, nella costruzione del nuovo stadio della città in vista dei mondiali di calcio dell’estate 2018.

La Confederazione Indipendente del Lavoro sostiene che attualmente ci siano circa 100.000 lavoratori nordcoreani nel paese che lavorano in condizione di «simil-schiavitù». Il governo di Pyongyang fornirebbe «forza-lavoro-low cost» (ovvero l’equivalente di 300-350 euro) ad aziende russe. Una forza-lavoro che non avrebbe il pregio solo di costare poco ma di essere mansueta e abituata a ritmi pesanti di lavoro. Se l’ironia non fosse qui forse di cattivo gusto si potrebbe affermare che solo nel sistema socialista i lavoratori sono completamente flessibili.
Nello schema previsto dai coreani al lavoratore sarebbe garantito vitto e alloggio, alla sua famiglia una rimessa di 20 euro circa mentre il resto del salario finirebbe automaticamente ad alleviare la tragica situazione della bilancia dei pagamenti dello Stato coreano.
A queste tipo di condizioni, secondo il New York Times, che aveva realizzato un reportage lo scorso luglio su questa moderna tratta, sono costretti soprattutto operai edili e nel settore della cantieristica nella Russia Europea.

Il settimanale Moscow News, afferma che l’importazione di forza-lavoro dalla Corea del Nord sia cosa nota da tempo. Ma che «nella maggioranza dei casi non si tratterebbe di vero e proprio schiavismo». Il magazine moscovita in lingua sottolinea come parte degli operai nordcoreani abbiano raggiunto la Russia per libera scelta. Pagando infatti una “mazzetta” di 700-800 dollari (in un paese in cui il reddito medio annuo è di 1500 dollari) ai funzionari dell’immigrazione nordcoreana, un lavoratore coreano può ottenere un regolare diritto di espatrio. Questi lavoratori coreani “liberi” risiedono principalmente nelle città russe della Siberia orientale come Vladivostok e Irkusk e svolgono mansioni di pescatori, minatori, imbianchini, manutentori.

Si tratta comunque di lavoratori, ricorda il sindacato, disposti a qualsiasi sacrificio e pronti a lavorare fino a 18 ore al giorno pur di liberarsi da una condizione di oppressione e povertà che ha pochi altri esempi nel mondo.Tuttavia questa forma di espatrio sarebbe sottoposta comunque al vincolo di «migrazione solo verso paesi alleati». Un vincolo che sarebbe di garanzia di controllo: in caso di problemi la deportazione del lavoratore in patria sarebbe garantita. Per questo la Confederazione del Lavoro rivendica che la Russia garantisca ai nordcoreani residenti il diritto di poter chiedere lo status di rifugiato politico.