Dei 4.890 afghani giunti in Italia con le evacuazioni da Kabul circa un quinto sono nella capitale per trascorrere il periodo di quarantena. L’operazione è coordinata dalla Protezione civile e un pool di soggetti istituzionali e associativi. La Regione Lazio ha garantito 950 posti in sette «Covid hotel», Save The Children i mediatori culturali, le Asl di zona l’assistenza medica e i volontari del Forum del terzo settore del Lazio i beni di prima necessità. «Sono partiti all’improvviso, senza nulla appresso. Abbiamo portato soprattutto vestiti», dice Francesco Pellas, del Forum. Solo una decina di persone sono risultate positive al coronavirus, mentre 200 hanno già ricevuto il vaccino.

«Siamo arrivati in otto: io, mia moglie, mia madre, tre sorelle e tre bambini», racconta in italiano Farid. Faceva il cuoco nella base di Herat. Dieci giorni fa è riuscito a salire su un volo partito da Kabul. È ospitato con i parenti in un hotel in zona Rebibbia. La quarantena è finita e a momenti saranno trasferiti. «Non sappiamo dove», dice. Tra martedì e mercoledì 137 persone hanno cambiato destinazione al termine dell’isolamento.

«Sono contenta di essere qui. Gli italiani sono gentili. Siamo stati fortunati», afferma Shokria, una delle sorelle. Sorride avvolta nel velo, come le altre donne che sfoggiano tessuti colorati. Ha 18 anni e parla un inglese perfetto. «Voglio imparare l’italiano e poi andare all’università. Il mio sogno è studiare medicina, per fare la ginecologa», racconta. Una parte della famiglia, il padre e tre fratelli, sono rimasti bloccati nella capitale afghana. «Dopo l’esplosione all’aeroporto è stato il caos e non sono riusciti a entrare», aggiunge Fahrid.

All’Hotel Alba gli afghani sono un centinaio. «Persone molto tranquille. A breve saranno trasferite, anche perché qui da noi inizia l’alta stagione», dice Michele De Lisi, incaricato dell’albergo. Villa Monte Mario, invece, è un ostello della gioventù gestito dalle suore carmelitane. Nei giorni scorsi hanno dovuto interrompere dopo poche ore la gara di solidarietà partita dal territorio: troppe donazioni. «Ci sono 52 persone, tra cui un minore non accompagnato e una donna incinta di nove mesi. Abbiamo ascoltato storie molto dure, che preferisco non raccontare», afferma Carmine Tabarro, coordinatore dei volontari. «Ci dispiace solo che dovranno andare via, creando una nuova separazione dopo che si è costruito un bel rapporto con noi e anche con il territorio. Le suore sarebbero disponibili a continuare l’accoglienza, ma ci hanno detto che non è possibile», aggiunge.

Dopo la quarantena gli afghani entrano nei percorsi di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, in base alle indicazioni del ministero dell’Interno. L’obiettivo è inserirne il più possibile nei progetti Sai (Sistema accoglienza integrazione, ex Sprar), ma i decreti per l’ampliamento dei posti attendono le firme e si sta ancora cercando la copertura finanziaria. Intanto molti andranno nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) o in alloggi individuati dagli enti locali sul territorio nazionale.