Abbiamo raggiunto al telefono a Boston il professore di Storia del Medio Oriente all’Università di Harvard, Roger Owen, autore dei più grandi classici di riferimento per comprendere la regione, tra cui Stato, potere e politica nella formazione del Medio Oriente moderno.

Le leggi di emergenza sono una risposta adeguata?
La risposta di Hollande (“Siamo in guerra”) è completamente sbagliata. Mi immagino al-Baghdadi che se la ride. E credo questo turbi il gran numero di musulmani che vive in Francia.

Gli attacchi francesi a Raqqa e Usa a Derna sono forse giusti in questa fase?
Dopo gli attentati di Parigi tutti sono nella condizione in cui si sentono legittimati a dover fare qualcosa. Ma penso che la risposta migliore sarebbe non fare proprio nulla. Colpire i campi di addestramento di Is in Siria è davvero sbagliato. Gonfia ancora di più i terroristi. Non penso proprio che ci siano obiettivi così facili da attaccare come viene detto in questo momento.

Quale è allora la risposta corretta agli attacchi di Parigi?
Non essere terrorizzati. Continuare nelle attività pacifiche di tutti i giorni. Credo che se sei terrorizzato i terroristi abbiano già vinto. E questo crea la necessità di uno Stato forte che ti protegge. Ma non sta succedendo questo. Gli attentati sono raccontati come un grande danno che giustifica la chiusura dei confini, una catastrofe, un disastro che rende necessario impedire la libertà di movimento.

Quali sono gli errori più gravi di Hollande in Siria?
Hollande è stato risoluto e ha usato la sua aviazione per colpire obiettivi facili. Ma in Francia una buona parte della popolazione è di religione islamica. Non so quali consigli abbia dall’Intelligence e dai Servizi di sicurezza. Di sicuro reagire con una guerra interna non ha senso. Renderebbe impossibile la vita nelle periferie.

Gli attacchi sono stati ideati in Siria, preparati in Belgio e attuati in Francia. Erano prevedibili?
Prima di tutto è necessario uno studio sociologico. I jihadisti sono un piccolo numero. Su questo punto Cameron, sembra più saggio. L’intelligence britannica guarda alle biografiche individuali dei jihadisti. Una prima conclusione è che questi attentati siano una forma di suicidio che vuole coinvolgere altre persone. È importante analizzare il profilo psicologico dei jihadisti, per esempio sono poche le donne.

Una bomba di Is ha ucciso oltre cento persone ad Ankara il 10 ottobre, il volo russo Metrojet è esploso in volo nel Sinai, e poi ci sono stati gli attacchi in Libano. Crede che anche gli attentati di Parigi siano una risposta ai raid russi e francesi contro Is in Siria?
Gli attacchi di al-Baghdadi potrebbero, forse, essere collegabili all’uccisione di Jihadi John, il jihadista tagliagole colpito nei giorni scorsi dai raid della coalizione internazionale in Siria. «Lo vendicheremo»: è stata forse la loro reazione. Esistono delle spiegazioni generali ma bisogna sempre fare riferimento al contesto immediato.

I combattenti kurdi hanno ripreso la città di Sinjar in mano ai jihadisti. Anche questo ha fatto scattare la reazione di Is?
Posso immaginare la pressione dei leader di Is a questa serie di eventi. Gli attacchi di Parigi mi ricordano molto gli attentati in Tunisia della scorsa estate che hanno colpito con i loro kalashnikov (AK-47) i turisti che si trovavano sulla spiaggia o nei ristoranti. Un turista inglese molto intelligente è riuscito a sfuggirgli aspettando il momento in cui dovevano ricaricare le loro armi per saltare dalla finestra.

Nel G20 di Antalya Putin e Obama si sono parlati per trovare una strategia comune in Siria. Siamo alla vigilia di una svolta?
Si tratta di una lunga storia, iniziata già ai tempi dell’impegno russo in Afghanistan. La strategia è quella di creare nemici per finalità di politica interna. A cui ora si è aggiunto un certo numero di giovani che vogliono suicidarsi. È una buona cosa che Putin e Obama si parlino. In Siria c’è una situazione confusa, Putin vuole il rafforzamento di al-Assad, gli Usa vorrebbero liberarsene.

Esiste ancora l’opzione dell’Islam politico per bilanciare l’avanzata jihadista?
C’è ancora un’opzione per l’Islam politico. Ci troviamo però in una situazione disperata per cui per molti musulmani è necessario scusarsi nel nome dell’Islam. In Egitto il golpe di al-Sisi ha costretto molti esponenti dei Fratelli musulmani alla fuga. Chi è rimasto si è radicalizzato. Questo ha creato un’atmosfera molto pericolosa.