Si sono chiuse ieri alle 21 le interminabili elezioni presidenziali egiziane: tre giorni di urne aperte, quasi un record, nella speranza che l’affluenza salisse naturalmente, da sé, e legittimasse la scontata vittoria del presidente al-Sisi.

Per ora dati certi non ce ne sono, a parlare sono i giornalisti sul posto e le dichiarazioni di tanti cittadini che hanno optato per il boicottaggio del voto. Nessuna fila o quasi ai 13.706 seggi (i quotidiani pro-governativi hanno pubblicato foto di alcuni seggi specifici, quelli dove l’affluenza è stata maggiore), ma per il resto di egiziani se ne sono visti pochi.

Unico dato disponibile al momento è quello di lunedì sera: 13,5% di affluenza, secondo fonti dell’Autorità nazionale per le elezioni (Nea). La stessa che da due giorni lancia anatemi sugli astensionisti minacciando multe di 500 sterline egiziane (circa 22 euro, una piccola fortuna in un paese con oltre un quarto della popolazione sotto la soglia di povertà) e cancellando le pause giornaliere di un’ora sperando di acchiappare qualche votante.

Dopotutto, dice la Nea, in Egitto votare è obbligatorio e l’articolo 43 della legge elettorale prevede pene pecuniarie per chi non si presenta. Non solo: il presidente Lashin Ibrahim, parlando alla tv di Stato, ha ricordato che gli astensionisti possono essere anche processati e che l’Autorità potrebbe decidere di consegnarne i nomi a polizia e magistratura.

Al resto ci pensano i sostenitori del governo che da banchetti fuori dai seggi offrono bibite e snack, ma soprattutto reti politiche più clandestine: in molti hanno raccontato di aver ricevuto denaro per votare, 50 sterline egiziane (poco più di due euro), cibo sussidiato in più rispetto ai risicati standard post-tagli o pacchi di prodotti alimentari, riso e olio. Le 54 organizzazioni locali e le nove internazionali autorizzate a monitorare il voto parlano di procedure democratiche e nessuna stranezza, non potendo verificare simili scambi.

Agli impiegati pubblici, racconta il dipendente di un’istituzione governativa alla Reuters, hanno dato mezza giornata libera con l’obbligo di rientrare per mostrare il dito sporco di inchiostro. Due pellegrinaggi alla Mecca dal governatore di Qalyubiyya per i villaggi con il 40% di affluenza, mentre gli studenti votanti del Cairo saranno esentati da un mese di tasse.

E con i presidenti di seggio che dicono di aver visto soprattutto anziani alle urne, a pesare – e lo nota anche il quotidiano pro-governativo al-Ahram – è l’astensionismo dei giovani: il 61% degli egiziani ha meno di 30 anni, il 40% meno di 18. Parliamo dunque di 19 milioni di giovani tra i 18 e i 30 anni di età, il 32,7% del totale degli aventi diritto.

Una buona fetta della generazione protagonista della rivoluzione di piazza Tahrir, frustrata e disillusa, che in molti casi non è andata a votare come scelta politica o perché convinta dell’inutilità di un processo falsamente democratico, mancando seri sfidanti e spazi di informazione libera.

A loro il governo già pensa di togliere un altro po’ di voce: «Chi non partecipa non ha diritto di commentare le politiche dello Stato», ha fatto sapere ieri il Ministero degli Esteri.

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Dalla nazionale spot pro-voto. Senza Salah
Si è fatta fotografare anche la first lady Entissar al-Sisi, notoriamente restia alle telecamere. Per convincere gli astensionisti si sono mobilitati leader religiosi, celebrità, anchorman: gli attori Samira Ahmed e Mohamed Henedi, il cantante Hakim, papa Tawadros II e il grande Imam di Al Azhar, Sheikh Ahmad al Tayeb.

E la nazionale egiziana: in Svizzera per delle amichevoli in vista degli attesi Mondiali russi, è rientrata al Cairo per votare. Mancavano sette giocatori, ritornati nei rispettivi paesi di ingaggio. Tra loro il «faraone» di Liverpool, Mohamed Salah.