È stato l’incontro diplomatico (durato più di tre ore) probabilmente più importante dell’anno e benché atteso senza grandi aspettative, ha riservato qualche importante segnale di una possibile distensione tra Cina e Stati uniti. A Bali in Indonesia, dove si svolge il G20 e dove ci sarà una girandola di incontri diplomatici rilevanti, Xi Jinping e Joe Biden si sono incontrati per la prima volta dal vivo da quando sono i presidenti dei rispettivi paesi, dopo una serie di chiamate e incontri virtuali (in precedenza si erano incontrati più volte quando ancora non erano arrivati al vertice dei due governi).

Non ci si aspettava granché da questo incontro perché Cina e Stati uniti erano al minimo delle proprie relazioni: la crisi estiva di Taiwan, a seguito della visita della speaker della Camera Nancy Pelosi, aveva interrotto le comunicazioni tra Pechino e Washington. Ma che qualcosa stesse cambiando era già evidente dai giorni della vigilia del summit: sia il Financial Times sia il Wall Street Journal hanno riportato le parole di funzionari cinesi e americani, secondo i quali Xi Jinping non avrebbe avuto da Putin alcuna indicazione sulla sua volontà di invadere l’Ucraina. Un segnale di una sorta di riposizionamento cinese, tanto più importante perché arriva in un momento nel quale l’amministrazione americana sembra voler sottolineare in ogni modo la necessità di porre fine alla guerra.

Non a caso, come già fatto con il cancelliere Scholz in visita a Pechino qualche settimana fa, Xi Jinping ha ribadito anche a Biden il «no» fermo cinese a qualsiasi ipotesi di uso delle armi nucleari. E il riferimento a Putin non è stato per niente velato.

Pechino ha sentito odore di ricostruzione, o forse semplicemente ha voluto mettere sui binari migliori un incontro che si preannunciava piuttosto teso. E che ha anche consegnato alcuni messaggi che non ci si aspettava, come ad esempio Biden che in conferenza stampa ha detto che «un’invasione di Taiwan da parte della Cina non è imminente». Al termine del colloquio Biden ha specificato di aver chiarito che la posizione degli Usa verso il dossier Taiwan «non è cambiata: vogliamo che la questione venga risolta pacificamente», ha affermato, dicendosi convinto che Xi abbia «capito esattamente» il messaggio recapitatogli.

Nel comunicato dopo l’incontro la Cina ha sottolineato come la sua posizione su Taiwan non cambierà intimando agli Stati uniti di rispettare la propria posizione specificando che esiste «un’unica Cina», esplicitando la sua «linea rossa», cioè quanto richiesto da Biden nei giorni precedenti al summit. Nel comunicato Pechino ha anche specificato che la divisione del mondo in «democrazie e autocrazie» portato avanti dall’attuale amministrazione americana non risponde allo spirito del tempo; Biden al riguardo in conferenza stampa non ha risposto ma ha ribadito che non è tempo di «guerra fredda». Altri segnali positivi: il segretario di Stato Blinken visiterà la Cina per proseguire il dialogo e per ogni tema che Cina e Stati uniti dovranno affrontare saranno creati dei gruppi ad hoc, deputati a confrontarsi in modo diretto.
Rimane la sensazione di una ripresa del dialogo che forse oltre queste parole distensive non possa andare, perché sul campo rimane una sfida a tutto campo difficilmente risolvibile con la diplomazia.

Gli Usa di Biden sembrano andare in una direzione che per certi versi pare quasi inseguire la Cina: da un lato Biden ha lanciato una specie di Via della seta americana (soprattutto in Asia), dall’altro sta riportando negli Stati uniti la produzione di microchip e la lavorazione di terre rare, in una manifestazione di sovranismo digitale molto più determinata di quanto non fosse quello tanto decantato da Trump (e confermata dal comunicato della Casa bianca) e può contare su un “partito unico” americano, composto sia da democratici sia da repubblicani convinti che la sfida principale per il futuro degli Stati uniti sia proprio la Cina.

Dal canto suo Xi Jinping ha probabilmente voluto un incontro cordiale e amichevole perché ora la Cina ha più che mai bisogno di tranquillità nelle relazioni internazionali considerando le tante difficoltà da gestire in casa, dal rallentamento economico all’aumento della disoccupazione giovanile, fino alla necessità di fare un lifting alle proprie politiche di contenimento del Covid pur mantenendo i toni di una narrazione che vuole la Cina «in guerra» contro il virus.