La torretta col cannone che ruota velocemente mentre la base è ferma, la carlinga dell’aereo che sembra l’ultima versione di un’auto avveniristica. Queste sono le immagini che la Tv ci propina ogni sera: gioielli della dinamica e della meccanica che fanno acrobazie come animali addestrati sulla piattaforma di un circo equestre. A vederle quelle immagini, isolate dal contesto bellico, appaiono affascinanti, dimostrano la creatività dell’uomo per superare qualsiasi ostacolo materiale e per vincere l’attrito. Una creatività impazzita.

Ma sono destinate a uccidere molti nemici, a distruggere manufatti (non importa se chiese o ospedali o scuole), a seminare terrore. Si nascondono tra la vegetazione o sibilano nell’aria velocissimi. Non si vedono ma se ne attendono i boati che arrivano puntuali sugli obiettivi e che distruggono beni, oltreché persone, edificati con tanti sforzi collettivi. L’immagine seguente è terribile: palazzi sventrati e sfigurati, auto ridotte a carcasse, alberi sradicati, persone disperate (almeno i sopravvissuti) che vagano inebetite per le strade o fissano attonite quel che rimane delle loro case.

È la guerra. Chi mai potrebbe essere d’accordo con simili scene apocalittiche fino a ieri viste soltanto nei film e ora inaspettatamente reali? Da una parte si invoca la causa dell’accerchiamento delle potenze occidentali della Nato, dall’altra la giusta causa della resistenza all’invasione. E di queste “ragioni” che se ne fanno i morti, i corpi straziati, quelli avvolti impietosamente nella plastica come fossero rifiuti, smembrati, sfigurati; non più corpi né persone, scarti, oggetti, residuali bellici?

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Dietro quelle immagini ci sono i veri mandanti invisibili: i cinici costruttori di armi, i fabbricatori di morte che vedono lievitare i loro profitti: ogni morto una percentuale di Pil che cresce e così per ogni carro inviato. La guerra è un grande affare per loro (e la ricostruzione pure) e la tecnica con cui si costruiscono questi “gioielli”, quella tecnica che alcuni ancora ritengono essere neutra (“dipende”, dicono, “dall’uso che se ne fa”) schierata e appiattita per rendere più efficiente la potenza di fuoco, ovvero il numero di vittime che seguono ad ogni colpo.

Un modo per resistere alla guerra, diceva Leiss, (il manifesto del 31 gennaio), è anche discuterne senza rinunciare al garbo e ascoltando della buona musica.

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A qualche malpensante potrebbe sembrare un atteggiamento cinico, mentre invece, come è nelle intenzioni dell’autore, è l’ultima speranza di riacquistare la ragione perduta. Contrapporre la forza dell’utopia che in passato qualche volta ha cambiato il mondo (il Sessantotto, Cuba, Allende, la guerra del Vietnam), contro la brutalità dell’insensato, e di quell’irrazionale dei media che vuole un capo di stato in conflitto intervenire a Sanremo, il festival delle canzonette che, magari, inneggiano innocentemente alla pace.

Il mondo è fuori squadra, diceva Amleto come quei quadri appesi che provocano fastidio per essere sghembi sulla parete. Il mondo è fuori di ragione, ha abbracciato l’istinto di morte che è altrettanto, anzi, più forte di quello dell’amore e della vita.
La stampa macina queste immagini, illustra i “vantaggi” degli ultimi carri confrontandoli con i vecchi: tutti ormai conosciamo i famosi “Leopard”; come da bambini eravamo affascinati da quei giocattoli innocenti.

Ne arriveranno dieci, cento e forse mille e, insieme a loro, “giocattoli” ancora più sofisticati per distruggere il mondo: non giocavamo così all’età di sette o otto anni?

Perché anche la guerra è ancora un gioco, una perversione maschile, non più innocente, ma sempre un gioco di morte tra potenze. Per anni abbiamo assistito, nei film, all’arrivo dei “nostri” contro quei barbari indiani che pretendevano di scorazzare per le praterie a caccia di bisonti. Ora il gioco si ripete mille volte più potente con l’umanità schierata da una parte o dall’altra, con tanto di generale Custer eroe ma, in realtà, crudele massacratore.

Fermiamola questa guerra, dimostriamo di essere ancora umani o perderemo per sempre la nostra innocenza schierandoci a favore di un martirio che per alcuni può essere anche affascinate, almeno finché a massacrarsi sono altri e lontani da noi. I sondaggi ci dicono che la maggior parte degli italiani (ma direi di tutti gli europei) sono contrari alla guerra e allora chi ha dato l’”ordine” ai nostri governati di farla e persino di continuarla?

Attenzione, diceva Hannah Arendt, il male può invadere e devastare il mondo perché si espande sulla sua superficie come un fungo. Esso sfida il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e, nel momento in cui cerca il male è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”.