Cultura

Richard Russo e le perturbanti verità d’America

Richard Russo e le perturbanti verità d’AmericaParticolare da «Hell’s Kitchen» di Adam Keller. In basso, Richard Russo

L'intervista Parla lo scrittore vincitore del Pulitzer, autore di «Le conseguenze», pubblicato da Neri Pozza. Dagli anni del Vietnam all’elezione di Trump, un romanzo tra memoria, incertezza e perdita

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 16 gennaio 2021

È nel retro della cucina di una confraternita studentesca del college Minerva nel Connecticut che Lincoln, Teddy e Mickey assistono il 1 dicembre del 1969 all’estrazione della prima lotteria nazionale di reclutamento di soldati per la guerra del Vietnam. Tra il ’69 e il ’73, quando sarà abolita la leva obbligatorio, migliaia di giovani americani, estratti a sorte per giorno di nascita, apprenderanno così, attraverso la tv che trasmette la cerimonia, cosa gli riservi il destino.

Figli della classe media, cresciuti nell’Ovest del Paese e arrivati in un college importante solo grazie a una borsa di studio, i tre giovani protagonisti di Le conseguenze (Neri Pozza, pp. 336, euro 19, traduzione di Ada Arduini) di Richard Russo – lo scrittore vincitore del Pulitzer nel 2002 con Il declino dell’impero Whiting (Beat 2021) – scopriranno insieme anche l’amore, tutti e tre si innamorano di Jacy, una compagna di studi che però durante una gita a Martha’s Vineyard nel Memorial Day del 1971 scomparirà per sempre. Solo quarant’anni più tardi, dandosi appuntamento nella casa di Lincoln sulla stessa isola del Massachusetts, i tre saranno in grado di misurarsi con quanto accaduto allora: la scomparsa di Jacy, il fantasma del Vietnam, la fine dei loro sogni.

Questo romanzo trae origine dal modo in cui, casualmente, lei evitò di partire per il Vietnam. Come andarono le cose e quale significato ha assunto quel momento per la sua vita?
Nel dicembre del 1969, quando si tenne la prima lotteria per il Vietnam, ero uno studente universitario. Se fossi stato fortunato, e non fossero usciti numeri vicini al mio, sarei almeno riuscito a laurearmi prima di diventare idoneo per la leva. Ma se alla fine mi avessero arruolato, non so ancora adesso come avrei reagito. Potevo cercare di rifugiarmi in Canada – come fa Mickey nel romanzo – o finire in prigione per protesta – come Teddy dice che farà. Erano tutte opzioni possibili visto che mi opponevo moralmente alla guerra. Per me queste scelte potevano però risultare difficili visto che mio padre era un veterano dello sbarco in Normandia, un vero eroe di guerra. Anche lui pensava che il Vietnam fosse una follia, ma sosteneva – come fa il padre di Mickey – che andare in prigione o in Canada non avrebbe fermato la guerra. Significava solo che un altro ragazzo sarebbe partito al mio posto. Avrei potuto convivere con questo? Però il mio numero non è uscito e così invece che nel sud-est asiatico, sono andato alla scuola di specializzazione e ho ottenuto un dottorato in letteratura. Alla fine, invece di sparare alle persone o di farmi sparare, sono diventato uno scrittore, un marito, un padre e, mi piace pensare, un uomo. Tutta la mia vita era in bilico quella sera del 1969, ma la fortuna ha deciso per me.

Ha dichiarato di aver trovato una certa affinità con il modo in cui Bruce Springsteen, che all’epoca fu scartato alla visita di leva, ha affrontato la guerra del Vietnam nel corso dei suoi spettacoli a Broadway. Cosa l’ha colpita?
Springsteen è ossessionato come me dal fatto di non aver partecipato a quella guerra. Siamo entrambi grati al caso per non averlo fatto. E entrambi siamo convinti, ora, esattamente come lo eravamo allora, che l’intero conflitto sia stato qualcosa di insensato e folle e che per combatterlo si sia mentito all’intera nazione, raccontando cose senza senso. Prendere parte alla guerra sarebbe stato sbagliato da ogni punto di vista. Ma come ha detto Springsteen nel suo spettacolo: «Non so chi sia morto al posto mio, ma so che qualcuno l’ha fatto».

Si è spesso detto che con quella guerra l’America perse l’innocenza. Anche le vite dei protagonisti del libro saranno segnate allora da un avvenimento che le cambierà per sempre: la scomparsa di Jacy. Quale il filo che lega il loro destino a quella stagione?
Come in tutti i miei romanzi, la classe gioca un ruolo fondamentale anche in Le conseguenze. I tre amici sono legati, prima di tutto, dal loro status di studenti che si possono permettere di frequentare un costoso college liberal della costa orientale solo grazie ad una borsa di studio. Sono troppo giovani per capire che nel loro amore per Jacy confluiscono tante cose: anche l’attrazione per un mondo, quello che annuncia l’America ribelle degli anni a venire da cui sono affascinati anche se in quel momento è loro estraneo. La perdita dell’innocenza? Con il Vietnam è arrivata per chi ha preso parte alla guerra, ma, almeno in parte, anche per coloro che non l’hanno fatto come Lincoln, Teddy e Mickey.

Lo scrittore Richard Russo

La loro storia sembra dirci che il destino, forse la fortuna, decidono davvero delle nostre vite. Un modo per mettere in discussione il mito del successo personale, così presente nel «sogno americano»?
Al centro dell’identità americana c’è il mito che lo scrittore Horatio Alger contribuì a definire nell’Ottocento: rimboccarsi le maniche e fare fortuna. In realtà però il destino è uno sgabello con tre gambe che sono il fato, la fortuna e il libero arbitrio. Troppe persone di successo fingono di credere che solo quest’ultimo elemento sia quello davvero importante. Se gli si chiede delle loro vite rispondono: ho fatto prima questo, poi quello e sono arrivato fin qui. Ma in realtà sono fin troppe le cose su cui non abbiamo alcun tipo di controllo e nessuna scelta e che contribuiscono a renderci ciò che siamo: la genetica, il colore della pelle, la classe, il posto in cui viviamo, fino alla stupida fortuna…

Stanley Kubrick sosteneva che la Guerra del Vietnam fu gestita dalle autorità americane come una campagna pubblicitaria, manipolando i media e l’opinione pubblica. Uno scenario che ricorda in parte quanto accaduto negli ultimi quattro anni?
Non è un caso che nel mio romanzo compaiano due dei presidenti più bugiardi della storia americana Nixon e Trump. Nixon perché era in carica e «gestiva» la guerra in quel momento, Trump perché sta per arrivare alla Casa Bianca quando il libro si conclude, ma il suo spettro aleggia lungamente. Le conseguenze è uno studio sulle bugie: quelle che diciamo agli altri e quelle che raccontiamo a noi stessi. E finisce con uno dei bugiardi più immorali e dissoluti di sempre che sta per diventare l’uomo più potente del mondo, un uomo le cui bugie scuoteranno le fondamenta della realtà stessa.

I protagonisti del romanzo appartengono alla generazione dei Baby boomers che, dopo il Vietnam, ha conosciuto il suo momento peggiore con la crisi del 2008 che ha messo in discussione molte certezze. Una vicenda che ha visto crescere una rabbia e un’inquietudine che non si sono più arrestate.
La grande recessione del 2008 è stata come una scossa che ha predetto il terremoto che stiamo attraversando ancora oggi. Nel romanzo, Lincoln, repubblicano da sempre, sta per perdere il suo lavoro nel settore finanziario e pensa di vendere la casa che possiede a Martha’s Vineyard per fare fronte ai debiti. Dei tre amici è quello che se l’è cavata meglio, ma la recessione sta mettendo a rischio tutto quello che ha. Il terreno sotto i piedi di Mickey e Teddy è sempre stato traballante, ma per Lincoln è un’esperienza nuova, traumatica. E mentre la crisi avanza viene eletto il primo presidente afroamericano: i due eventi devono essere visti insieme per capire cosa è accaduto nel Paese. Perché molte persone come Lincoln, anche se lui è troppo rispettabile per comportarsi così, percepiscono quanto accade come l’intreccio di due minacce: potrebbero perdere ciò che hanno sempre dato per scontato, mentre altri, neri e ispanici, potrebbero guadagnarci. Così, oggi, i sostenitori più duri di Trump non sono le persone che hanno subito perdite catastrofiche in termini economiche, ma coloro che temono di perdere il loro status a favore di altri.

Come detto, «Le conseguenze» è ambientato nel 2015, alla vigilia dell’elezione di Trump, un evento di cui stiamo misurando tutta la drammatica rilevanza nella storia del Paese. L’America scossa dalle divisioni dell’epoca del Vietnam assomiglia in qualche modo a quella che ha assistito all’assalto a Capitol Hill e cosa pensa accadrà ora: si potranno sanare ferite e divisioni?
Ho appena finito di scrivere un lungo saggio (Marriage Story) proprio su questo argomento. Verrà pubblicato in Europa il 20 gennaio, giorno dell’inaugurazione della nuova presidenza. In quello scritto guardo al mio amato Paese attraverso la lente del divorzio dei miei genitori. Alla fine, la domanda senza risposta che mi pongo è se – tra dieci o vent’anni – vedremo questa nazione divisa come un matrimonio che vale comunque la pena cercare di salvare o piuttosto come un’unione in cui le nostre differenze inconciliabili erano talmente evidenti sin dall’inizio. E solo il tempo potrà dare una risposta esaustiva al quesito.

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