Di recente sono intervenuti, con spazzoloni e poca diplomazia nella delicata situazione del Pigneto, quartiere romano a cavallo tra centro e periferia, anima popolare e gentrification, supportati da Airbnb, il portale degli albergatori fai-da-te che contribuisce ad espellere i ceti popolari dai quartieri più richiesti.

SONO QUELLI di Retake, i volontari anti-degrado. Il fenomeno è controverso, anche se all’apparenza inattaccabile, anzi meritorio. Oggi Retake conta ottanta gruppi attivi di quartiere e decine di associazioni satellite sparse per tutta Italia. La pagina Facebook del nodo romano ha quasi 45 mila like. I proprietari del brand antidegrado hanno sempre rifuggito ogni coinvolgimento politico. Almeno fino a due giorni fa, quando hanno convocato giuristi, esperti ed esponenti di partito per proporre addirittura una legge costituzionale per riformare l’ordinamento di Roma. «I problemi di Roma – spiegano – a partire dal crescente degrado che la affligge, non possono essere affrontati senza un più generale processo riformatore cittadino». A nome di Retake ha presentato il progetto di legge Rebecca Spitzmiller, fondatrice dell’associazione. Ormai quasi dieci anni fa, prendendo spunto dalle pratiche delle associazioni di vicinato statunitensi in voga negli anni cinquanta, a partire dal quartiere Africano, zona residenzal-borghese a nordest di Roma, si è inventata l’associazione Retake.

[do action=”quote” autore=”Retake”]«I problemi di Roma, a partire dal crescente degrado che la affligge, non possono essere affrontati senza un più generale processo riformatore cittadino»[/do]

Nel paese in cui la retorica del decoro dilaga, il fenomeno diviene contagioso. L’idea che i beni comuni siano spazi da preservare e tenere immacolati si riversa su stickers, scritte e manifestini affissi per strada. Che si tratti di avvisi commerciali, espressioni artistiche o comunicazione indipendente, i retakers non guardano in faccia a nessuno. Hanno persino lanciato un portale ad hoc per segnalare gli odiatissimi adesivi. Da qui alla discesa in campo nell’agone della proposta politica, il passo è davvero brevissimo. Addirittura, i retakers lanciano l’idea di aprire una «fase costituente» nella capitale, che porti alla riscrittura dell’articolo 114 della Costituzione, quello che riguarda la disciplina dell’ordinamento di Roma. Definiscono la loro iniziativa come «provocatoria» anche se non risulta particolarmente innovativa: richiama altri progetti analoghi, già sentiti in questi anni.

LA NOTIZIA STA nel passaggio dal decoro alla costituente più che nel contenuto specifico, al momento fin troppo vago. La Roma di Retake diventerebbe una sorta di Città-Regione e i suoi quindici municipi, attorno ai quali dovevano sorgere istituzioni di prossimità mai del tutto concretizzatesi, delle città rette da sindaci con poteri ampliati. «Parafrasando Kennedy – dicono ancora i proponenti – non è più il momento di chiedersi cosa può fare Roma per il suo paese, è il momento di chiedersi cosa può fare il paese per la sua capitale».

PER RAFFAELE BIFULCO, docente di diritto costituzionale alla Luiss, «la creazione di una ventunesima regione richiede che venga ridisegnato tutto il contesto». «La riforma Renzi-Bischi – prosegue il costituzionalista – muoveva da un disegno accentratore. Una volta accantonato quel progetto stiamo assistendo a rigurgiti di autonomia, a partire dai recenti referendum di Veneto e Lombardia». Andrea Mazziotti di Celso, presidente della Commissione affari costituzionali della Camera, placa gli entusiasmi ricordando a tutti il debito gigantesco che affligge Roma. «Come dare autonomia finanziaria senza prima ripianare il bilancio?», chiede. Stefano Fassina, consigliere comunale a Roma oltre che deputato uscente in procinto di essere di nuovo candidato con Liberi e Uguali, saluta l’iniziativa con favore. «Il decentramento è necessario – dice Fassina – Non è possibile amministrare i rifiuti di Ostia dal Campidoglio, ad esempio». Si presenta anche Matteo Orfini, commissario romano del Pd, che lamenta il fatto che da troppo tempo si sia smesso di ragionare sul senso della città.

A UN OSSERVATORE con un pizzico di memoria, appare evidente lo slittamento di senso: il «bene comune», di cui Retake si fa garante fino al punto di guadagnarsi l’autorevolezza che gli consente di chiamare a raccolta per cambiare la Costituzione e riscrivere la governance della capitale d’Italia, non viene utilizzato in contrapposizione alla proprietà privata ma accanto ad essa, funge da contenitore, uno spazio da rendere neutro, liscio e ospitale per favorire gli interessi e appetiti più svariati.