«Sulla base delle informazioni raccolte» «da fonti multiple e indipendenti, ci sono motivi ragionevoli di credere che violenze sessuali legate al conflitto si siano verificate durante gli attacchi del sette ottobre», «inclusi stupri e stupri di gruppo», stupri di cadaveri e omicidi commessi nel corso di uno stupro. È la conclusione dell’indagine condotta in Israele della rappresentante delle Nazioni unite per le violenze sessuali Pramila Patten e la sua squadra. Relativamente alle donne ancora prigioniere a Gaza, e anche «bambini», nel report si legge che sono state raccolte «informazioni chiare e convincenti sul fatto che alcune di loro siano state sottoposte a varie forme di violenza sessuale incluso lo stupro, la tortura sessualizzata e trattamenti sessualizzati inumani e degradanti». E la squadra «ha motivi ragionevoli per credere che simili violenze siano in corso anche ora». La squadra Onu ha incontrato un gran numero di ostaggi liberati, e sottolinea le loro «fondate paure di rivelare le proprie storie, che potrebbero risultare nella loro identificazione e in ulteriori danni arrecati a loro e a coloro ancora in ostaggio».

IL REPORT si concentra principalmente sui tre luoghi al sud di Israele (il Nova Music Festival, la strada 232 e il kibbutz Re’im) dove ha potuto trovare riscontri incontrovertibili di queste violenze – mentre altri elementi le lasciano “intuire” come la posizione dei corpi, denudati, legati o mutilati -, e dedica ampio spazio alla metodologia di raccolta di prove e testimonianze e specialmente alle difficoltà incontrate nel raccogliere le prove. Principalmente quelle elencate nelle inchieste in merito già uscite su Guardian e New York Times: il mancato coordinamento fra le agenzie israeliane su molteplici scene del crimine, la dispersione dei sopravvissuti – alcuni al di fuori del Paese – la carbonizzazione dei corpi di molte vittime, l’imperizia di alcune squadre di primo soccorso, le necessità religiose che impongono una celere sepoltura, il trauma delle sopravvissute alle violenze che sono in cura e non vogliono o non possono parlare. Inoltre, aggiunge il report Onu, incide «la mancanza di fiducia dei sopravvissuti agli attacchi del sette ottobre e delle famiglie degli ostaggi nei confronti delle istituzioni nazionali e delle organizzazioni internazionali, come le Nazioni unite, così come lo scrutinio mediatico nazionale e internazionale nei confronti di coloro che hanno parlato pubblicamente» – elementi che hanno «limitato l’accesso ai sopravvissuti degli attacchi».

LE ISTITUZIONI israeliane, si legge nelle 23 pagine, hanno «cooperato pienamente» all’indagine ma l’assenza di agenzie Onu sul territorio, e la mancanza generale di cooperazione di Israele con le Nazioni unite, è uno dei fattori che limita gravemente la raccolta di informazioni. Per determinare «la reale prevalenza» delle violenze sessuali potrebbero volerci «mesi o anni, e potrebbe non essere mai pienamente conosciuta» in conseguenza dello «stigma, il trauma e la paura con cui si confrontano le sopravvissute».
Non è scopo né facoltà dell’indagine, specifica Patten, attribuire le responsabilità – Hamas, Jihad Islami, altre organizzazioni o civili che hanno partecipato all’attacco – né stabilire la «sistematicità» delle violenze.

Il report rende conto anche delle accuse di violenza contro i prigionieri palestinesi in Cisgiordania, dove pure la squadra Onu ha condotto delle indagini: «Trattamenti crudeli, inumani e degradanti, e varie forme di violenza sessuale» quali «perquisizioni corporali invasive», «nudità forzata prolungata», «palpeggiamenti di aree intime, involontaria rimozione dell’hijab delle donne; pestaggi, compresi delle aree genitali; minacce di stupro rivolte alle donne» e a «mogli, sorelle, figlie nel caso degli uomini».

IL MINISTERO degli Esteri israeliano ha subito negato, mentre il ministro Israel Katz ha richiamato l’ambasciatore israeliano all’Onu in polemica con quello che definisce il tentativo di silenziare lo stesso rapporto delle Nazioni unite sulle violenze, e contro il segretario generale Guterres che non avrebbe fatto immediatamente seguire il rapporto da un Consiglio di sicurezza per dichiarare Hamas un’organizzazione terroristica.