Il ministero dell’Interno egiziano ci riprova. Sarebbe una «vendetta personale» a spiegare le circostanze della morte e tortura di Giulio Regeni. «Non ci accontenteremo di verità di comodo e reagiremo ad ogni tentativo di depistaggio», è la giusta reazione della famiglia di Giulio.

A questo punto, gli inquirenti egiziani starebbero indagando tra i contatti del dottorando friulano. È proprio nella cerchia dei suoi amici che potrebbe trovarsi la risposta sulle responsabilità nella morte del giovane ma non per vendetta. È plausibile invece che il suo arresto possa essere spiegato come uno scambio di persona considerando quanto Giulio fosse vicino, ma estraneo, ad ambienti dell’attivismo politico di sinistra al Cairo.

La pista della vendetta personale, dopo i depistaggi su incidente stradale, delitto sessuale, coinvolgimento della Fratellanza musulmana, sembra un nuovo asso nella manica lanciato dagli egiziani che dal canto loro nulla stanno facendo per fornire prove significative al team Ros, Sco e Interpol, da tre settimane al Cairo. Neppure i tabulati telefonici sono stati consegnati nelle mani degli inquirenti italiani, quindi ad un mese dalla scomparsa di Giulio non è possibile dire con certezza neppure dove sia stato prelevato, se sotto casa sua (a Doqqi) o nei pressi di piazza Tahrir.

Su questo punto finalmente è insorto il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che ha chiesto che gli inquirenti italiani abbiano «accesso a tutti i documenti sonori e filmati, ai referti medici e a tutti gli atti del processo nelle mani della procura di Giza».

È già passato un mese dalla scomparsa di Giulio Regeni del 25 gennaio scorso. Per ben sei giorni nessuno ha saputo che il giovane e brillante ricercatore friulano fosse sparito nel nulla. E da lì sono iniziati i ritardi di un caso tanto atroce quanto simbolico da aver imposto ogni tipo di depistaggio e intimidazione, fino al momento del ritrovamento del cadavere il 3 febbraio scorso.

Uccidendo e torturando Giulio Regeni è stato violato il taboo dell’inviolabilità del corpo degli stranieri in Egitto. E questo cambierà per sempre il rapporto che molti cittadini europei avranno con il regime militare di al-Sisi nei prossimi anni.

Non era forse necessariamente questo l’obiettivo dei poliziotti egiziani che hanno arrestato, ucciso e torturato Giulio. Ma di sicuro hanno colto nel segno. Ormai anche gli stranieri devono temere la Sicurezza di Stato come fanno gli egiziani.

È di pochi giorni fa la notizia di due giovani fratelli di nazionalità turca, Mucahit e Cihat Kirtoklu, di cui si sono perse le tracce al Cairo. In questo caso la loro scomparsa è stata immediatamente resa nota ai media. E questo potrebbe essere essenziale per evitare che i due finiscano nelle mani degli stessi carnefici di Giulio.

Ieri il giovane dottorando friulano è stato ricordando all’Università americana del Cairo (Auc) con letture di poesie di Ungaretti e Quasimodo.

 

amnesty verita per giulio regeni banner

Oggi alle 14 si svolgerà in via Salaria a Roma, alle porte dell’ambasciata egiziana in Italia, una piccola commemorazione silenziosa di Giulio, organizzata dall’Associazione Antigone. Anche la sorella di Giulio, Irene, ha voluto far sentire la sua voce chiedendo che vengano esposti gli striscioni gialli che chiedono «Verità per Giulio» come annunciato nella campagna lanciata da Amnesty International.

Si tenta in qualche modo di dare così un segnale alle autorità egiziane che i riflettori sulla vicenda in Italia non si sono spenti anche all’indomani della condanna dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo nel caso Abu Omar.

Dopo il ritrovamento del cadavere in un fosso della periferia della capitale egiziana, molti hanno avanzato sospetti di tentativi di complotto.

In realtà, secondo molti attivisti al Cairo, la prassi di liberarsi dei cadaveri torturati da parte della polizia egiziana è diventata una consuetudine. «In passato i corpi dei prigionieri venivano seppelliti negli stessi edifici della Sicurezza di Stato, ora vengono lasciati sul ciglio della strada», ci riferiscono ambienti della sinistra egiziana.

La repressione del dissenso al Cairo non si ferma. Nonostante le promesse di al-Sisi che aveva assicurato di voler intervenire per arginare gli attacchi indiscriminati della polizia alla gente comune, continuano gli episodi di repressione e arresti sommari.

Ieri l’attivista per la difesa dei diritti umani, Hossam Bahgat, è stato fermato all’aeroporto del Cairo e gli è stato impedito di lasciare il paese. Bahgat era diretto in Giordania per partecipare a un incontro delle Nazioni unite quando è stato fermato. Era in precedenza stato arrestato per le sue dichiarazioni critiche verso il regime.

Anche il giudice, Amir Awad, è stato arrestato dopo aver presentato un appello firmato da 31 giudici contro il prepensionamento di quattro toghe, accusate di essere vicine alla Fratellanza musulmana.