Un corpo martoriato, due autopsie, due letture diverse dei segni che raccontano le ultime ore di Giulio Regeni. Non c’è accordo tra la versione della procura di Giza, che indaga sull’omicidio in campo egiziano, e quella degli inquirenti italiani sulle modalità con cui sono state inflitte le violenze al giovane dottorando friulano prima di morire. Su un punto invece le due interpretazioni convergono: Giulio Regeni sarebbe morto, per la frattura di una vertebra cervicale, entro le 24 ore precedenti il ritrovamento del suo corpo, avvenuto nella mattina del 3 febbraio sulla strada che collega Il Cairo ad Alessandria.

Ieri il professor Vittorio Fineschi ha consegnato alla procura di Roma i risultati completi del secondo esame autoptico effettuato sul cadavere il 6 febbraio scorso presso il Policlinico Umberto I, e per ore si è poi intrattenuto con il pm Sergio Colaiocco per fare il punto dei dati acquisiti con certezza. Prima di completare il responso, però, si attende ancora la traduzione dall’arabo dei documenti consegnati una settimana fa dalle autorità egiziane, tra i quali una parziale sintesi della prima autopsia effettuata al Cairo.

Nel frattempo, in Egitto, il viceprocuratore di Giza, Hossam Nassar, ha rivelato in un’intervista a Repubblica.it e all’«Agenzia Nova» alcuni particolari importanti. A cominciare dall’orario della morte di Regeni che risalirebbe «non più tardi delle 24 ore precedenti il ritrovamento del suo corpo, la mattina del 3 febbraio. Quindi è morto in un lasso di tempo compreso tra il 2 e il 3 febbraio». Un dato compatibile con quanto ipotizzato dal team di esperti coordinato dal prof. Fineschi.

Viceversa, invece, gli inquirenti italiani sarebbero orientati a confutare la tesi sostenuta dal pm Hossam Nassar, secondo il quale «le violenze che ha subito sono state inflitte tutte in un’unica soluzione, tra le 10 e le 14 ore precedenti la sua morte». Secondo fonti interne altamente qualificate interpellate dal manifesto, non ci sarebbero dubbi sul fatto che le violenze e le sevizie sarebbero state inferte sul povero Regeni a più riprese, vere e proprie torture separate da intervalli temporali nel corso di alcuni giorni. Un particolare che corrisponde a una firma ben precisa, come aveva anticipato già qualche giorno fa la procura di Roma: quella di «torturatori addestrati», non criminali comuni. E d’altronde i primi a parlare di torture inflitte nell’arco di «cinque-sette giorni, tre volte a intervalli di 10-14 ore» erano state fonti interne alla stessa procura di Giza, interpellate dalla Reuters il primo marzo scorso. Un particolare confermato poi dal dipartimento di Medicina Forense cairota al quotidiano Al Masry El Youm ma smentito dal procuratore capo Ahmed Naji.

Da quanto si è potuto appurare a Roma, però, è vero che alcune lesioni sono state inferte sul corpo di Regeni solo dopo la sua morte. La differenza con le violenze inflitte da vivo è netta, agli occhi dei medici legali italiani. Dunque è plausibile che, come ha dichiarato ieri il pm Nassar, «sulle unghie e alle lesioni alle orecchie» si sia «creato un equivoco» con i media che avevano diffuso i macabri particolari: «Sono stati i medici legali egiziani ad asportare le une e le altre per poter effettuare esami accurati – ha sostenuto il viceprocuratore di Giza – Nel caso delle unghie si voleva verificare se contenessero tracce che potevano far risalire o dimostrare una colluttazione».

Gli inquirenti egiziani sembrano ora più cauti rispetto alle prime ore, quando fu lo stesso procuratore Naji a parlare di «torture». Riguardo le bruciature riscontrate sul corpo di Giulio, per esempio, «sono tutte concentrate sulla spalla sinistra – spiega Nassar a Carlo Bonini e Giuliano Foschini – Ma, francamente, i nostri medici non sono stati in grado di dirci quale possa esserne l’origine».

Occorrerà attendere ancora qualche giorno per conoscere il responso del team medico italiano. Nel frattempo, aspettando di ricevere dalle autorità egiziane anche il resto dei documenti richiesti, compresi gli interi tabulati telefonici, non rimane che affidarsi alle verifiche dei pm egiziani, secondo i quali Giulio sarebbe entrato all’interno della stazione metro più vicina a quella della sua abitazione. Tornerebbe dunque plausibile l’ipotesi iniziale: l’arresto (di massa) nei pressi di piazza Tahrir.