Sono stati tre giorni intensi sul fronte italo-egiziano: la telefonata tra il primo ministro Conte e il presidente al-Sisi, i prossimi rinvii a giudizio per l’omicidio di Giulio Regeni, l’udienza per il rilascio (o la conferma della custodia cautelare) di Patrick Zaki, l’arresto del direttore della sua ong, Eipr.

Tre giorni che aprono a due settimane di attesa “attiva”: la speranza che in questo arco di tempo Il Cairo rimuova finalmente il muro di gomma su cui da quasi cinque anni rimbalzano le richieste di verità della famiglia Regeni e dell’opinione pubblica italiana.

Su Patrick Zaki una risposta dovrebbe giungere stamattina: ieri al Tribunale penale del Cairo si è tenuta l’ennesima udienza per il rinnovo della custodia o il rilascio del giovane studente dell’Università di Bologna, arrestato lo scorso 7 febbraio. Secondo la campagna “Patrick libero”, Zaki era presente insieme ai legali e ha avuto occasione di parlare. La decisione della corte è prevista per oggi, a chiusura di una settimana di arresti che ha colpito i vertici dell’ong con cui collaborava, l’Egyptian Initiative for Personal Rights.

E poi c’è il caso di Giulio Regeni, impantanato da anni tra le sabbie mobili dei silenzi egiziani, quando va bene, e dei depistaggi, quando va male. A premere sull’acceleratore è di nuovo la Procura di Roma: a meno di due settimane dalla chiusura delle indagini, il team guidato dal procuratore capo Prestipino e dal pm Colaiocco è pronto al rinvio a giudizio dei cinque membri dei servizi segreti egiziani (il generale Sabir Tareq, i colonnelli Usham Helmy e Ather Kamal, il maggiore Magdi Sharif e l’agente Mahmoud Najem) che il 4 dicembre 2018 Piazzale Clodio inserì nel registro degli indagati.

Il 28 novembre scorso l’annuncio della chiusura delle indagini era giunto in concomitanza con l’incontro virtuale con gli inquirenti egiziani, uno dei tanti vertici fatti di silenzi e mancate risposte. Tra cui spicca la richiesta, mossa tramite rogatoria, dell’elezione di domicilio in Italia dei cinque indagati, per poterli processare.

La Procura è stanca di aspettare. E chiederà di andare a processo: gli elementi raccolti, fa sapere alla stampa, sono «univoci» e «concordanti» e dimostrano sia il coinvolgimento dei cinque membri dell’Nsa nel rapimento e l’omicidio di Giulio sia le azioni di depistaggio messe in campo fin dal 3 febbraio 2016, giorno del ritrovamento del corpo del ricercatore.

Il 4 dicembre Colaiocco depositerà gli atti delle indagini e chiederà di procedere contro di loro con un decreto di irreperibilità. E processo sarà, in contumacia se il presidente egiziano al-Sisi non li consegnerà all’Italia.

Dal punto di vista pratico, il rinvio a giudizio, il processo in contumacia e l’eventuale condanna non avranno effetti concreti senza la fattiva collaborazione giudiziaria del Cairo: non sarà possibile estradarli. Si tratterebbe comunque di un colpo all’immagine del regime egiziano, di fatto messo a processo in Italia, visto il ruolo di spicco rivestito dai cinque indagati all’interno della macchina repressiva di Stato.

Per questo è sceso in campo il primo ministro Conte, lo stesso che lo scorso giugno di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Regeni presentò la sua particolare strategia di convincimento: affari e amicizia con al-Sisi in cambio di rispetto e verità. Mai arrivati.

Venerdì mattina Conte ha avuto un colloquio telefonico con il presidente egiziano a cui avrebbe detto, riporta Repubblica, che di tempo a disposizione non ce n’è più: con la chiusura delle indagini dietro l’angolo, meglio collaborare e consegnare i cinque aguzzini. Solo così – aggiungiamo noi – potrebbe “salvare” il regime. Questa è la più seria paura di al-Sisi: abbandonare gli assassini di Giulio significherebbe togliere il velo a un sistema di controllo e repressione consolidato e istituzionale, gestito dai vertici del paese.

Secondo i media egiziani, a partire dal filo-governativo al-Ahram, Conte avrebbe ribadito ad al-Sisi l’intenzione di proseguire nel rafforzamento delle relazioni bilaterali, a partire dal commercio, gli investimenti e il settore militare. Parole che, se confermate, non dovrebbero togliere il sonno al regime.