«Ci aspettiamo delle notizie positive, inshAllah». Che tipo di buone notizie, domandavano ieri mattina a Mohammed Abdel Hadi Allam, direttore di al Ahram, il più importante dei quotidiani governativi egiziani: vuol dire che la delegazione egiziana fornirà le informazioni che la procura italiana chiede da tempo? «Tra le due parti c’è una buona cooperazione, mi aspetto buone notizie».

Non era andato oltre Allam a proposito della missione della delegazione egiziana che ieri e giovedì ha incontrato a Roma i magistrati che indagano sul sequestro e il brutale assassinio di Giulio Regeni. Auspici vaghi, frasi buttate lì che ci avevano lasciato ancora più dubbiosi sulla concretezza della missione egiziana. E non avevamo potuto fare a meno di notare che la reticenza aveva avuto il sopravvento sul coraggio che, appena qualche giorno fa, aveva spinto Allam a sollecitare, dalle pagine del suo giornale, un atteggiamento ben diverso da parte delle autorità egiziane sul caso Regeni.

Poi ieri sera l’annuncio: fallimento completo, il governo italiano richiama l’ambasciatore al Cairo. L’ottimismo artificiale di Allam suscita sorrisi colmi di amarezza, oltre a tanta delusione. Il direttore di al Ahram aveva risposto alle nostre domande come se in gola avesse un nastro registrato. «Noi egiziani abbiamo sempre apprezzato il sostegno dell’Italia, sin dal 30 giugno…dobbiamo pensare al futuro (dei rapporti tra i due Paesi, ndr)», ci ha ripetuto più volte riferendosi allo sciopero del 2013 che aprì la strada al colpo di stato militare contro il presidente Mohammed Morsi e il governo dei Fratelli Musulmani. Ora quelle relazioni che voleva preservare, sono lacerate.

L’atteggiamento del direttore di al Ahram ci ha confermato che le autorità egiziane e i media vicini al regime non hanno alcuna intenzione di dare le risposte chiare e definitive che da due mesi aspettano la famiglia Regeni, i magistrati e tutta l’Italia.

La società civile egiziana, traumatizzata dall’assassinio di Giulio, condivide lo stesso pessimismo. «Fossi un italiano non farei affidamento sui colloqui a Roma», ci ha detto ieri Gamal Eid, fondatore e direttore dell’Arabic Network for Human Rights Information (Anhri), una delle Ong più importanti nel mondo arabo nella tutela della libertà d’opinione. «Dubito che la missione egiziana possa dare una svolta alle indagini sulla morte di Giulio, orribilmente torturato e ammazzato», ha aggiunto il direttore dell’Anhri, convinto che neppure il rischio di un peggioramento delle relazioni tra Egitto e Italia spingerà le autorità del Cairo a rivelare, finalmente, tutta la verità.

Ha avuto ragione. «Ad essere sincero non sono neanche sicuro che i membri della delegazione egiziana partita per Roma siano a conoscenza della verità» ha spiegato Eid «è una vergogna che un omicidio così terribile di un cittadino straniero sia avvenuto nel nostro Paese. Gli egiziani che amano la verità e la libertà, il rispetto dei diritti umani, hanno il diritto sapere tutto, fino in fondo, senza omissioni. Dubito però dell’intenzione, della volontà e persino della capacità di annunciare la verità (da parte del regime, ndr)».

Ad Eid avevamo detto che in Italia i media riferiscono di spaccature all’interno dei servizi di sicurezza egiziani, indicati come i probabili responsabili del sequestro e dell’uccisione di Giulio. Ha spiegato di non essere a conoscenza di fratture nell’intelligence egiziana, tuttavia, ha sottolineato, «altri apparati dello Stato sono divisi, spesso si muovono in modo autonomo e questo è causa di abusi e gravi violazioni dei diritti umani che si aggiungono a quelli compiuti dall’intelligence».

Ad Eid quindi abbiamo chiesto se la terribile fine di Giulio Regeni aiuterà gli egiziani a trovare la forza per sottrarsi alle manifestazioni più brutali del regime di Abdel Fattah al Sisi. Il direttore dell’Anhri ha atteso qualche secondo prima di risponderci, poi ha sottolineato che la popolazione egiziana, ogni giorno fa i conti «con la scomparsa di persone, con la tortura, con abusi e violazioni dei diritti umani e ciò avviene sotto l’ombrello di una impunità totale per i responsabili dei crimini».

È nostro impegno, ha proseguito Eid, «continuare a denunciare quanto accade e chiedere con forza che coloro che commettono questi crimini siano portati davanti ai giudici». Gli egiziani, ha precisato, «non sono un gruppo singolo. Una parte, che include anche alcuni operatori dell’informazione, sono pronti a tutto pur di difendere e proteggere l’immagine del governo, anche di fronte a palesi violazioni dei diritti umani. Un’altra parte di egiziani, che io ritengo maggioritaria, invece vuole la libertà di pensiero, desidera la democrazia, non segue i media governativi e si esprime attraverso i social. L’assassinio di Giulio perciò potrebbe essere l’inizio di qualcosa di importante per l’Egitto».