L’idea di un reddito di base ha assunto dimensioni mondiali, la letteratura è vasta, si è arricchita di approfondimenti scientifici sempre più puntuali e di sostenitori di tutto il mondo. Il tema è diventato argomento di studio della scienza politica, sociologica, filosofica, economica, psicologica e ha coinvolto molti altri campi di ricerca come mai accaduto prima.

Questo reddito è l’oggetto di speculazioni politiche, e di vere e proprie truffe semantiche. Pensiamo al cosiddetto «reddito di cittadinanza» istituito in Italia nel 2019: un sussidio di sostegno alla povertà assoluta pensato per governare i poveri e non emanciparli dalla povertà. Il punto dunque non è più «se» un reddito di base, ma «come» e soprattutto «quando». È qui che si dovrà generare quella rottura con il «mondo di prima», con quella «normalità che era il problema» dei decenni passati.

È QUESTA LA PRINCIPALE discontinuità politica e culturale argomentata nel libro Reddito di base. Liberare il XXI secolo (Momo, pp. 240, euro 18) scritto da Andrea Fumagalli, Sandro Gobetti, Cristina Morini e Rachele Serino, membri del Basic Income Network-Italia, che sarà presentato alla festa di Momo domani presso il centro sociale La Torre in via Bertero 13 a Roma (ore 20).

Non si tratta più di evocare un’utopia concreta, sostengono gli autori, ma di reinventare politiche già esistenti all’interno di una generale riforma del welfare e una trasformazione dei rapporti sociali di produzione e riproduzione soggetti a ripetute crisi sempre più devastanti e a un ritorno in forza della rivoluzione passiva che alterna il populismo di una redistribuzione farlocca con l’autoritarismo contro i (lavoratori) poveri, i precari e tutti coloro che non rispondono alla norma. Il reddito di base è oggi una questione politica, non una lista di principi.

Il libro è uno strumento di conoscenza delle teorie, dei dibattiti e delle sperimentazioni di forme di reddito di base dagli Stati Uniti all’Africa e all’Asia. È una miniera di informazioni, oltre che una guida necessaria per districarsi dalle trappole disseminate in un dibattito polarizzato tra l’odio di classe dei politici neoliberali di destra e di sinistra, le contrapposizioni infondate che colonizzano il dibattito tra presunti «lavoristi» e «redditisti» e le classiche accuse al reddito di «neoliberismo» perché Milton Friedman ha prospettato un’interpretazione di questa misura come imposta negativa.

Gli autori dimostrano che il reddito è anche una lotta tra le interpretazioni emerse in stagioni economiche, e in paesi diversi. Ce ne sono altrettante e più evolute di origine marxista e liberal-socialista, per esempio. Questa molteplicità di interpretazioni è un campo di battaglia e fa parte della lotta in corso. È un approccio materialisticamente adeguato al nostro tempo, ma inudibile alle orecchie di una sinistra dissolta, colonizzata da meme populisti, sepolta sotto una coltre di identitarismo, ostaggio della contrapposizione tra i diritti compiuta dall’agenda neoliberale.

IL LIBRO DEL BIN-ITALIA riporta queste astrazioni necrotizzanti alla concreta esperienza della vita sociale. Si parte dalla ricerca dell’autodeterminazione dei singoli e delle classi e non dalla volontà di governare gli esclusi e i marginali anche attraverso il lavoro coatto gratuito fino a 16 ore a settimana: i «Puc» della legge sul reddito, oggi chiamati «lavoro di cittadinanza» dalla Lega, da Renzi e da altri evangelisti dell’oppressione della vita altrui. Il «reddito di base» è un prisma dai molti volti, il primo passo e non l’obiettivo finale di una politica della liberazione che dura tutta la vita ed è tutta da costruire.