Dall’alba di domenica vige in El Salvador lo stato di emergenza nazionale, adottato dal presidente Najib Bukele dopo che sabato è stato registrato il più alto numero di omicidi nella storia del paese dai tempi della guerra civile conclusasi nel 1992. Ben 64 (in un paese di appena 6,5 milioni di abitanti), ad opera delle maras, le bande giovanili che da oltre un paio di decenni imperversano soprattutto nelle periferie della capitale San Salvador, controllando ampli territori mediante estorsioni, microcriminalità e spaccio di stupefacenti.
Bukele aveva inviato sabato sera un allarmato tweet al presidente del parlamento Ernesto Castro il quale ha convocato d’urgenza tutti i deputati per le ore 23. Che a loro volta, con 67 voti su 84, hanno accolto la sollecitazione del giovane capo di stato di sospendere da subito una serie di libertà e garanzie costituzionali.
L’origine di queste bande risale ancora alla fine degli anni ’40 del secolo scorso nei quartieri poveri dei neri a Los Angeles, via via sostituiti col tempo dai figli degli emigranti centroamericani. Che a loro volta hanno trasferito (e ribattezzato) il fenomeno delle maras nei loro paesi d’origine dal momento in cui le autorità statunitensi avevano cominciato la loro deportazione a fine pena dalle carceri della California. Così che si sono rapidamente diffuse in Guatemala, Honduras e El Salvador per le condizioni di estrema povertà, oltre che all’indomani di devastanti conflitti che avevano lasciato in circolazione enormi quantità di armi da fuoco.
Ne consegue che San Salvador e le capitali centroamericane sono da anni in testa alla classifica delle 50 città più violente al mondo, delle quali ben 45 sono comunque latinoamericane. A confermare come tutto il subcontinente sia a livello planetario il più colpito dalla miseria e dalle disuguaglianze imposte dal sistema a libero mercato.
I governi che via via si sono succeduti in El Salvador non sono mai riusciti ad arginare tale piaga. Al contrario i primi tre mandati della destra, posteriori alla guerra civile, ne hanno favorito l’espansione con le loro politiche escludenti. Nei due periodi successivi in cui invece ha governato la ex guerriglia, i margini per modificare la situazione sono stati assai esigui visto che la sinistra, nimoranza in parlamento, era sistematicamente boicottata.
Si sono così alternati periodi di feroce repressione a tregue temporanee, durante le quali le bande giovanili sono lievitate consolidandosi nel tempo. Fino all’arrivo nel 2019 del presidente twittero Bukele, oggi appena quarantenne, sostenuto in massa dalle maggioritarie giovani (quanto disperate) generazioni da cui proviene. Anche lui si è barcamenato fra negoziazioni con i capi delle maras e misure durissime, soprattutto nelle carceri dove diversi di loro sono rinchiusi.
Bukele gode di poteri assoluti visto che si è imposto democraticamente con ampio margine da presidente, per poi guadagnarsi la maggioranza assoluta in parlamento col suo partito Nuevas Ideas. Per impadronirsi poi di fatto pure del controllo del potere giudiziario. Anche polizia ed esercito sono con lui in questo percorso verso un’autarchia tanto di moda di questi tempi (si è astenuto all’Onu sul caso Ucraina).
Ma la sua preoccupazione per l’impennata della violenza nel suo paese è legata soprattutto ai folli investimenti sul bitcoin, di cui ha legalizzato la circolazione nel settembre scorso, oltre che acquistarne 1801 con fondi pubblici (perdendo già una ventina di milioni di dollari). Da allora, e da quando ha diffuso il suo proposito di fondare Bitcoin City nel pressi del vulcano Conchagua (con la sua energia geotermica) per allestire una “miniera” della moneta digitale, in El Salvador sono giunti almeno una dozzina di big degli investimenti virtuali a partire dal giornalista statunitense Max Keiser (ex collaboratore di una tv russa filo Putin) e dal messicano Ricardo Salinas, proprietario del gruppo Tv Azteca; oltre a un flusso di visitatori bitcoineros minori che hanno incrementato il turismo in un paese che non è mai stato meta di particolare interesse, nonostante la sua costa sul Pacifico.
Sta di fatto che l’emissione di Bitcoin Bond per un miliardo di dollari annunciata da Bukele (contro le raccomandazioni del Fondo Monetario) per la fine di questo mese è stata posposta a data da destinarsi. Con l’agenzia Fitch che ha declassato il debito salvadoregno da B- a CCC; equivalente a spazzatura.