Jazz e soul – perché forse è questa la sua vera, grande passione. Raphael Gualazzi si ripresenta dopo quattro anni dall’ultimo disco (Love life and peace, 2016) e lo fa ancora dal palcoscenico di Sanremo dove è in gara con Carioca, l’estratto dal nuovo album dal titolo (auto) ironico Ho un piano. «Carioca in realtà è stato scelto dal direttore artistico a cui avevo presentato quattro pezzi. È una raccolta molto eterogenea: alcuni brani sono più legati al racconto testuale. Altri, come Carioca appunto, giocano molto con la parte ludica e musicale». Disco ricco e dalle mille sfumature, curato insieme a un team di produttori che vede insieme Stabber, i Mamakass, Dade, Federico Secondomè, Fausto Cogliati e l’arrangiatore Stefano Nanni.

L’ATTIVITÀ live di Gualazzi si concentra spesso all’estero; in Giappone ha suonato al Blue Note e un suo best è entrato in classifica: «In realtà negli altri paesi vengo percepito più come musicista jazz. Ma in Italia il jazz, al di fuori della dimensione live, non è supportato come dovrebbe: così devo vivere questo dualismo di …eterno crossover». Piacevolissimo peraltro, anche perché l’artista marchigiano ha scelto di rimettersi in gioco: «La musica negli ultimi anni ha subito tanti cambiamenti e ho sentito l’esigenza di utilizzare nuovi ambienti sonori. Avevo quindi bisogno di produttori dalle differenti sensibilità. Con ognuno di loro è stato un piano diverso, appunto». Soul vintage anni ’80 per Broken Bokes, bilingue e cantato insieme al China Moses.

HIP HOP e old school vanno a braccetto: «Hai detto giusto, c’è la vecchia scuola del soul, quindi riferimenti ai ’70 e ai pezzi di gente del calibro di Bill Wither, Curtis Mayfield, Al Green». Su una marcetta di ispirazione rossiniana, Italia è una bacchettata decisa sul tema immigrazione: «Ci sono riferimenti a quanto accaduto in questi anni. A tutti quei paesi che avrebbero dovuto creare dei ponti piuttosto che alzare dei muri di filo spinato, dove ognuno dovrebbe prendersi le proprie responsabilità. Molte sono state potenze colonialiste che hanno sfruttato, e sfruttano il terzo mondo: sarebbe stato meglio creare dei ponti sia dal punto di vista metaforico che materiale invece che cacciarli».
In Libertà, un divertissement di ispirazione sociale, riferimenti espliciti gaberiani: «Nasce da una riflessione introspettiva perché a volte ci si domanda se si è davvero liberi o se invece ci viene raccontata una storia diversa…». Nella serata delle cover, Gualazzi porta E se domani, omaggio al festival ovviamente e a Mina: «Non dovrei dirlo ma mi ha fatto addirittura i complimenti nel 2011, subito dopo l’esordio sanremese. Ero nell’ufficio di Caterina Caselli (amica della cantante cremonese, ndr) e me l’ha passata. Emozione indicibile. Io definisco lei – e Modugno – come i cantanti pop jazz perché con il loro stile hanno portato la musica italiana nel mondo. L’abbiamo arrangiata insieme a Stefano Nanni e la canterò insieme a Simona Molinari, che completa l’atmosfera. Lei sa essere delicatissima e poderosa nella voce e nella presenza, una grande cosa».