Il rap mapuche è una questione popolare sin dagli anni Ottanta quando presero il via i primi esperimenti musicali in tal senso dalle parti di Lanin, sobborgo della città di Temuco, nella regione dell’Aracaunía. Pionieristica fu la formazione Brocas de las Naqui che riuniva i giovani delle aree rurali, cantando le situazioni di povertà, degrado ed emarginazione in cui vivevano. Voce guida era Jano Weichafe, che fondò nei primi Novanta i Weichafe Newen i quali si esibivano con strumenti tradizionali come il kultrún e la trompe.

A distanza di quattro decadi le tematiche sono simili, vedasi quanto accaduto con il risveglio sociale e le proteste di strada del 2019 e ancora, rechazo e apruebo, ossia il rifiuto e l’approvazione della nuova costituzione conclusosi con il respingimento di quest’ultima da parte della maggioranza dei cileni, decisione sancita dal referendum svoltosi il 4 settembre 2022. Emozioni a non finire e conseguenti mille storie da raccontare, all’interno delle quali sono confluite le tematiche femministe, ecologiste e identitarie del popolo mapuche. Il tutto mescolato con il protagonismo femminile e maschile della Generazione Z, capace di narrare se stessa in musica, in particolare a suon di rap ma non solo, usando i media contemporanei.

Esempio calzante è la registrazione a Casaparlante, studio e piattaforma audiovisiva musicale cilena, del brano Marichiweu dove i tredici artisti presenti si sono dati appuntamento via WhatsApp, dopo aver lì condiviso contenuti e stralci di liriche poi finiti nel testo della canzone. Parliamo di una struggle song di inusitata potenza, diventata inno di lotta con al centro la lingua e la cultura mapuche: una colonna sonora diffusa attraverso le reti sociali esattamente come la protesta che racconta.

VIRALE

Tik Tok, Instagram e Facebook sono i luoghi senza confini dove la Gen Z mapuche e cilena ha trovato il modo per diffondere e rendere virale il suo vissuto. Che ottimamente emerge anche in Mapuche Teen Rap Queen: The Rise of Chile’s Indigenous Gen Z, documentario girato dal regista Miguel Soffia per conto di Al Jazeera English, dove è protagonista MC Millaray. La quale esattamente come la quasi totalità di colleghe e colleghi, canta in lingua mapudungun mescolandola con il castigliano.

Oltre Millaray Jara Collio, attuale stella indiscussa del firmamento indigeno dei versi in rima, uno dei gruppi storici di riferimento sono i Wechekeche Ni Trawun, formazione nata nel 2003 a Santiago con l’intento di dare vita a una organizzazione rivolta direttamente ai movimenti giovanili dell’epoca. Sin dagli esordi la band, giunta in alcuni momenti ad oltre dieci componenti, si è espressamente dedicata a danza e musica, includendo nella propria matrice stilistica anche rock, reggae, ragamuffin e ranchera, per poi negli anni successivi allargare il raggio d’azione alle ritmiche oscillanti di reggaeton e cumbia.

L’importanza del gruppo è centrale nella scena rap, in quanto al suo interno sono transitati musicisti capaci poi di proseguire con carriere soliste o altri progetti di peso. Tra i leader della formazione iniziale rammentiamo Ana Millaleo, Ximena Painemal e Jaime Cuyanao, ai quali si aggiunsero presto Daniel Millapang e Paul Paillafulu.

Tra i vari dischi pubblicati, tutti disponibili in download gratuito sulla loro pagina Facebook, imperdibili sono l’esordio del 2005 Wechekeche Ülkantun, Wallmapuche – Wajmapuce del 2007 realizzato assieme alla band argentina Grupo Puelkona, il chilometrico Ke viva la raza del 2009 e il bellissimo Un mensaje para nuestro pueblo del 2015. Jaime Cuyanao con il nome d’arte di Waikil, da subito ha intrapreso un suo percorso che nel tempo ha subito varie trasformazioni. Tra le principali rammentiamo Waikil + Banda, combo di cui segnaliamo l’omonimo Ep del 2018 che si contraddistingue per un deciso carattere acustico. Uno dei talenti maggiori assoldati da Cuyanao è il violinista Francisco Herrera, titolare del duo di stampo ambient in modalità acustica UÑÜM, che si può apprezzare nell’ep Waken 2018.

L’ETICHETTA

Tutte queste uscite discografiche sono solo una parte di quelle a firma di Estudio Errante, etichetta dietro cui si cela sempre l’iperattivo Cuyanao e che nello scorso agosto ha presentato un ulteriore nuovo progetto denominato Ngoymakelaiñ/No olvidamos.

Tra i vari talenti passati nei Wechekeche Ni Trawu si segnala il poliedrico e validissimo Gonzalo Luanko, classe 1987, provienente da Pudahuel, provincia di Santiago. Il rap mapuche non può prescindere dalla sua presenza: dopo le esperienze giovanili dedicate ai graffiti con il nome di Minuto Soler, alias che porterà con sé fino al secondo lavoro, Gonzalo scopre il mondo hip hop a diciassette anni formandosi nella band locale Factor Determinante.

Oltre le rime si consolida da subito l’impegno sociale, in quanto assieme al gruppo per cinque anni danno vita al workshop Educa Hip Hop, progetto di pedagogia popolare capace di riunire i giovani di Pudahuel per educarli a suon di freestyle. Nel 2008 esordisce con l’oramai introvabile album Actos por necesidad, stampato in circa cento copie, un laboratorio a cielo aperto preambolo di Inche Ta Luanko del 2012, il primo disco di sempre in mapudungun. Nel mentre inizia anche la carriera, ancora attiva, di insegnante di storia. Testi intelligenti e una voce superba riconoscibile tra tante che si esalta in Ketrolelan (No estoy mudo) del 2017 e l’ultimo e ben riuscito Mapu Beats, dove gli elementi trap e reggaton si sono rafforzati.

Amico di vecchia data e coetaneo di Luanko è Portavoz, al secolo «Andi» Ferrer Millanao, indiscusso capofila dell’intero movimento. Arrica da Conchalí, quartiere che non a nulla da invidiare a La Pincoya ed è ben noto e apprezzato per esibizioni energiche e muscolari. La relazione artistica di lunga data ha prodotto numerose collaborazioni, tra le quali vale la pena rammentare il brano Waitrapaiñ del 2018, una vera hit conosciuta in tutto il paese grazie anche a un video iconico per la comunità mapuche.

La discografia di Portavoz prende il via nel 2005 con una deflagrazione autentica garantita dal lavoro Formato de Mc, preludio al fenomenale Escribo Rap con R de Revolución del 2011 e Millanao del 2019 con i quali si è affermato ben oltre i confini nazionali. Nel mezzo ha sempre mantenuto la sua presenza con Salvaje Decibel, gruppo con il quale iniziò la sua avventura e di cui segnaliamo le ottime produzioni Poblacional (2007) e Radical (2012). Nel 2021 ha fermato temporaneamente la carriera a seguito di un incidente casalingo, ma si attendono a breve novità discografiche.

TRADIZIONI

Meritorio di attenzione è il ventitrenne Likan, dallo stile fluido e morbido che lo scorso giugno ha pubblicato Pukem, secondo album a suo nome che include il singolo Terceros, dove tra gli ospiti spicca la star internazionale Ana Tijoux, che rammentiamo aver compiuto operazione analoga con MC Millaray nel 2020. Avere dalla propria Tijoux è un indiscutibile attestato di stima. Da San Joaquin, provincia della capitale, arriva la brava Jaas Newen, dotata di una voce assai espressiva e di uno spiccato senso melodico. Ancora non impostasi al grande pubblico ma potenzialmente in grado di farlo, come si apprezza nel lavoro d’esordio Piwke del 2018.

La lotta per i diritti civili da parte dei mapuche va chiaramente oltre le metriche hip hop. In ambito folk e tradizionale non si possono tralasciare nomi di riferimento come l’importante Beatriz Pichi Malen, da decenni sulla breccia grazie a una voce tanto ancestrale quanto meravigliosa accompagnata dal suo kultrún. Segnaliamo le incisioni Añil (2004) e Mapuche (2014). Voce e chitarra e testi poetici, in alcuni passaggi rammenta Isabel Parra, sono i punti forti di Daniela Millaleo, ben espressi in Trafun (2013). Carmen Lienqueo è cantante, suonatrice di charango e autrice da anni sulla scena con vari gruppi, tra cui i Mákina Kandela con la loro cumbia. Nel 2020 ha dato il via alla carriera solista con il mirabolante Canto para siempre.

 

MC MILLARAY, L’INTERVISTA

«In Quebrar la mano al destino parlo di come sono cresciuta con la musica e di cosa sia oggi il rap per me. Vale a dire celebrare le mie radici e la difesa del territorio dove vivevano le generazioni che ci hanno preceduto. Mi sono sentita in colpa per il fatto di non conoscerne né la storia né la lingua madre». Lei è MC Millaray Jara Collio, una rapper mapuche che a soli diciassette anni – ne compirà diciotto nel febbraio 2024 – è già un’artista di primo livello in Cile. Nonostante la giovanissima età vanta una consapevolezza sociale e artistica fuori dall’ordinario. È dotata di una voce potente ed espressiva, di un flow elastico e morbido e come se non bastasse, è autrice di testi incredibilmente sognanti e crudi. Ne è un perfetto esempio Quebrar la mano al destino, singolo di lancio del prossimo disco in uscita.

MC Millaray, nelle scorse settimane in tour in Europa, arriva da La Pincoya, una delle periferie storicamente più difficili di Santiago. È un luogo che meriterebbe una narrazione a parte: nel suo passato si rintracciano le speranze di Salvador Allende e le barbarie di Pinochet, nel suo presente coesistono violenze causate dai narcotrafficanti e un forte impegno civile degli abitanti che si battono per rendere il barrio vivibile: «Sono nata e cresciuta a La Pincoya, il quartiere dove sembra che non ci siano mai opportunità per nessuno. Bambine e bambini sono obbligati a maturare in fretta a causa della povertà in cui vivono. Grazie alla mia famiglia ho avuto l’opportunità di fare quello che mi piaceva, il rap. Che ho sempre percepito come uno strumento, utilizzandolo per farmi ascoltare fin da piccola con l’idea di descrivere con le parole ciò che vedevo attorno a casa nostra. La vita era difficile, ma quando c’erano delle necessità la gente si univa. Ad esempio si organizzavano eventi di beneficenza per aiutare famiglie bisognose. Ora è tutto diverso».

Claudia Collio e Alexis Jara, madre e padre di MC Millaray, arrivano dalla scena rap di Santiago: «Si sono conosciuti mentre erano attivi nella cultura hip hop locale, organizzando laboratori per i bambini in posti marginali ed eventi con cui diffondevano gli stili del canto in rime. Sono stati loro ad insegnarmi a rappare. Sui social media si rintraccia ancora oggi una foto di quando avevo tre anni, mentre ero sopra un palco con a fianco i miei genitori. Oltre quell’immagine che per certi versi segna l’inizio, posso dire che loro hanno sempre creduto in me, aiutandomi a crescere musicalmente e ad acquisire e sviluppare la necessaria sicurezza per salire sul palco. Ho iniziato presto ed era fondamentale sentirmi felice: lo ero quando mi ascoltavano ed apprezzavano quello che cantavo».

GLI ESORDI

A cinque anni comincia a destreggiarsi on stage, a sette entra in studio di registrazione per la prima volta incidendo il disco Pequeña femenina che poi assieme al padre avrebbe venduto durante le loro esibizioni a bordo degli autobus cittadini. Una interessante istantanea di quei tempi, agevolmente reperibile in rete, è la canzone Grafitis eseguita dal vivo a La Pincoya nel 2014, grazie alla quale si rimane colpiti da come la piccola Jara fosse già a suo agio nel ruolo di MC.

Nonostante il talento, numerose sono state le difficoltà che ha dovuto affrontare per avere opportunità: «Essendo una bambina, era difficile farmi accettare. Mi proponevo ad eventi a cui non ero stata invitata e venivo inclusa una volta su tre, perché giovanissima, donna, mapuche e con dei testi che parlavano della nostra identità. Venivo ignorata ma, perseverando nelle scelte fatte, sono andata avanti».

Arriva l’adolescenza e si consolida il senso di appartenenza alla storia indigena. Inoltre, in lei si fa rapidamente strada un desiderio di partecipazione alla causa, a seguito di quanto acquisisce dai racconti che arrivano dalla sua gente e da quello che apprende direttamente nei tanti viaggi in direzione della comunità di riferimento a Wallmapu, area geografica dei mapuche nel sud del Cile. Progressivamente entra nelle dolorose profondità di narrazioni che parlano di emarginazione, saccheggio ambientale, occupazione militare e ingiuste incarcerazioni. A soli tredici anni, nel 2019, le storie personali e collettive girano sempre più vorticosamente. Viene nominata portavoce della Red por la Defensa de la Infancia Mapuche (Rete per la difesa dei bambini mapuche) dalla direttrice della stessa, l’importante attivista Onésima Alejandra Lienqueo: «Sono sempre rimasta scioccata dal fatto che in alcuni quartieri del mondo a un bambino fosse negato vivere l’infanzia serenamente. Senza gioco e studio, solo lavoro precoce. Ho quindi sviluppato un senso di protezione verso i più deboli. Essere portavoce della Red mi ha permesso di far parte di qualcosa di importante, di essere dentro la conversazione».

LA CANZONE PERFETTA

Nel frattempo, il Cile ribolle con l’approssimarsi della nuova stagione di lotta dell’estallido social che prende il via qualche mese dopo, nell’ottobre del 2019. Il coinvolgimento è generalizzato e anche gli artisti sono dentro il maggior movimento di protesta in atto dalla fine dell’era Pinochet. Ed è proprio in quegli attimi che arriva al momento giusto, la canzone perfetta: «Andai a Casaparlante, un posto dove si registrano sessioni dal vivo, perché con altri musicisti ci eravamo dati appuntamento per incidere insieme la canzone Marichiweu, che in mapudungun, la lingua mapuche, significa “vinceremo dieci volte”. Avevo un’idea per il testo, ma non ero convinta. Mentre ero sui mezzi pubblici dirigendomi verso lo studio, stavo abbozzando la canzone sullo smartphone. Alzai la testa e vidi un poliziotto davanti a una donna con una bandiera mapuche: guardava malissimo sia lei che me. Questa scena mi diede l’ispirazione per scrivere il testo. Continuai a farlo anche in studio… giunse il mio turno e non ero ancora certa della versione finale. Non l’avevo neanche provata! Ma mi sentivo sicura, stimolata da quello che avevo visto. Registrai e realizzai una take potentissima. Con me c’era mia madre. Entrambe rimanemmo sorprese e lei mi chiese se ero sicura di voler fare ascoltare quelle rime. Risposi di sì. Era il 18 ottobre 2019, erano i giorni del despertar social».

Il fuoco delle giornate del risveglio sociale evocato da MC Millaray si avverte in pieno in Marichiweu, canzone di lotta che ha segnato quel periodo storico vissuto in prima persona, includendolo nella sua cifra artistica. Non casualmente a inizio 2023 il New York Times ha dedicato ben due differenti articoli alla rapper, nel frattempo divenuta voce della Generazione Z mapuche e cilena grazie alle sue rime: «Il popolo mapuche vive soggiogato da oltre cinquecentotrentotto anni. Ancora oggi stanno devastando il nostro territorio a Wallmapu: a causa del’uso improprio delle monoculture arboree estensive stanno prosciugando i fiumi causando un ecocidio. Chi si oppone viene assassinato, prendi Macarena Valdés uccisa per aver difeso il suo territorio. Nelle mie canzoni la figura della donna è centrale. Ho avuto in casa esempi da seguire. E infatti ho scritto Zomo Newen, che significa donna forte: unisce il messaggio della donna mapuche e non, della donna che nella sua vita può dire “amo tristemente questa vita, come l’amore triste che per tanti anni ci ha lasciate a sperare, aspettando risposte, che cada il patriarcato e anche il femminicidio”».