È iniziata all’alba di ieri l’invasione militare israeliana del campo profughi di Jenin, di nuovo brutale come avviene da anni. Il bilancio è di sette uccisi. Tra loro due ragazzini che tornavano da scuola, un insegnante e un chirurgo.

Le immagini girate dagli abitanti da dietro i vetri delle finestre raccontano il raid: una lunga fila di mezzi militari lungo vie svuotate dopo i primi spari, bulldozer dell’esercito israeliano che spianano le strade e distruggono quello che si trovano davanti, colonne di fumo provocato dalle esplosioni e il suono sordo e ripetuto di colpi di arma da fuoco, quello dei soldati e quello dei combattenti palestinesi.

«DEI SETTE UCCISI ne sono stati identificati sei – riporta la giornalista di al Jazeera Nida Ibrahim – Sono stati colpiti al petto alla testa, hanno sparato con l’intento di uccidere. L’esercito israeliano dice che erano terroristi ma secondo i testimoni palestinesi si trattava di civili».

Di certo lo era il medico Aseed Jabarin, 50 anni, ucciso fuori dall’ospedale della città, dal 7 ottobre più volte nel mirino dell’esercito. Lo era l’insegnante colpito nella sua auto, Allam Jaradat, e anche i ragazzini Mahmoud Hamadneh e Osama Abu Jareer. Le immagini ne mostrano uno a terra senza vita, disarmato.

Con loro il numero dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre in Cisgiordania è salito a 513, ma nei mesi precedenti non era andata meglio: secondo Amnesty International, tra il primo gennaio 2023 e il 7 ottobre le vittime di esercito e coloni ammontavano a 204. Altri 299 ne sono stati ammazzati negli ultimi tre mesi dell’anno.

Cinquemila i feriti dal 7 ottobre in Cisgiordania. Tra i 19 di ieri a Jenin anche un fotoreporter, Amer Manasra, colpito a una gamba. I testimoni raccontano di spari random, più casuali del solito. In cielo, per tutto il giorno, si è sentito il ronzio dei droni; a terra il rumore meccanico dei bulldozer.

In tale contesto di raid militari quotidiani (ogni giorno si registrano 20, 30, 40 arresti), non diminuisce la violenza dei coloni, che quasi ogni giorno attaccano comunità, bruciano campi e case, distruggono auto.

Ieri il Guardian ha pubblicato un’inchiesta che dimostra la già denunciata simbiosi ormai palese tra esercito e movimento dei coloni. Secondo il quotidiano britannico, membri delle forze armate israeliane forniscono a estremisti di destra e coloni informazioni sul passaggio dei camion di aiuti umanitari diretti a Gaza, per permettergli di bloccare le strade e distruggere i beni.

La redazione consiglia:
Yehuda Shaul: «Simbiosi tra vertici politici e coloni, sono loro a gestire la Cisgiordania»

DA MESI PROTESTE, blocchi stradali e anche pestaggi di camionisti hanno impedito a molti camion di raggiungere i valichi per Gaza (ora comunque chiusi da Israele dal 6 maggio), anche grazie all’aiuto dell’esercito.

Tra i gruppi più attivi c’è Tzav 9, la cui portavoce ha ammesso al Guardian di ricevere le coordinate da soldati e poliziotti, anche attraverso quei gruppi WhatsApp usati per organizzare le «attività», ovvero gli attacchi alle comunità palestinesi. Informazioni vengono fornite anche dai civili, dice Tzav 9: «Gli israeliano sono frustrati nel vedere come gli aiuti vengono gestiti a Gaza».