Sarà pur vero, come scrive Battista sul Corriere, che il controllo dei tg di stato non porta consensi (e non porta nemmeno bene), ma, parafrasando l’indimenticabile Catalano, forse è meglio avere un tg amico che ti dà molto spazio che uno nemico che non ti fa parlare. Sarà pur vero, come scrive Grasso sempre sul foglio milanese, che quella della Berlinguer non può essere definita una epurazione, ma nell’avvicendarla si poteva fare meglio: nel metodo, viene sostituita all’indomani dell’attacco dell’onorevole Rotta (Pd) al Tg3, e nel merito, si potevano trovare professionisti dai curricula più densi: da Di Bella, alla Botteri, dall’Annunziata a Vianello, tanto per restare in Rai, o puntare, udite udite, su Santoro (perché no?) o su quel Giannini che aveva (sbagliando, lo scrivemmo) risposto nel suo programma alle critiche di Anzaldi (sempre Pd), provocando le dimissioni dell’allora capostruttura di Ballarò, Mazzà. Poi diventato nuovo direttore del Tg3.

Ciò detto e poiché, al di là delle opinioni, i numeri sono numeri, vediamo cosa ci dicono quelli delle ultime rilevazioni dell’Agcom relativi al mese di luglio e confrontiamoli con quelli precedenti. I telegiornali pubblici (Tg1, Tg2, Tg3 e Rainews24) danno il 41% del tempo di parola al premier e ai suoi ministri, il 18% ai partiti di maggioranza e altrettanto a quelli di opposizione (più un 14% circa alle prime tre cariche dello Stato). Prima considerazione: della vituperata regola non scritta, cioè il famigerato «panino» che assegnava un 30% a testa a governo, maggioranza e opposizione, sono rimaste soltanto le briciole. Per le opposizioni. Il resto se lo mangia il governo. (E se in fatto di pluralismo ci tocca invocare il «panino» inventato da Mimun vuol dire davvero che siamo messi male.)
Se confrontiamo, inoltre, questi dati con quelli della campagna elettorale, vediamo che il maggiore equilibrio realizzatosi grazie alla par condicio, equilibrio che comunque non garantiva alle opposizioni più di un 20-25% del tempo di parola, dura lo spazio di un mattino. La par condicio sembra funzionare soprattutto per il premier, che nei mesi precedenti aveva goduto di una esposizione, sui tempi di parola, di oltre il 20% (un record), che in quelle settimane è fortemente ridimensionato; poi però risale con spazi e tempi scandalosamente oltremisura. In particolare sul telegiornale diretto da Orfeo dove Renzi, nel periodo che va dal 20 giugno al 31 luglio, schizza al 26% del tempo di parola; davvero una percentuale anomala, ancor più se si guarda a Tg2 e Tg3 dove gli effetti, pur ridotti, del maggiore equilibrio sembrano persistere anche dopo l’apertura delle urne ((rispettivamente 18 e 13,5%).

Seconda considerazione: fuori dalla par condicio, che l’attenua ma non l’abolisce, lo squilibrio nei telegiornali della Rai a favore del premier è rilevante, se si guarda alle percentuali dei predecessori di Renzi abbondantemente al di sotto del 20%. Questa distorsione (cominciata con l’ascesa al governo di Renzi) pare ridursi, dopo le polemiche della campagna elettorale, sul Tg2 e sul Tg3, ma ahimè peggiora vistosamente sul tg1. (E pensare che Orfeo quando era direttore del Messaggero aveva definito il telegiornale di Minzolini filogovernativo!)
Qualche giorno fa, il presidente della Vigilanza ha impedito alla sua commissione di intervenire sulle nomine, sostenendo, a ragione, che il consiglio non può ripetere i vizi del passato. Ha aggiunto, poi, che il suo compito sarebbe stato, invece, quello di vigilare di più e meglio per il rispetto del pluralismo. Caro presidente, se i numeri sono questi, non c’è che mantenere la promessa.