Chi sarà il prossimo assessore al bilancio di Roma Capitale? Virginia Raggi ieri ha annullato la sua partecipazione al Festival dell’Azione cattolica per selezionare diversi curriculum. Ha lavorato da casa, stando lontana dai veleni del Campidoglio. Disertando il Vaticano si è risparmiata il rimbrotto del segretario Cei Nunzio Galantino («Basta con gli inciuci o con gli accordi sotterranei», ha detto) e l’imbarazzo di dover replicare proprio da Oltretevere alla critiche dell’Osservatore romano sulla «città abbandonata». Che avvenga tramite la selezione collettiva, previo colloquio davanti ad una commissione, su mediazione della Casaleggio Associati oppure con l’ausilio dello studio Sammarco (queste sono le modalità di cooptazione finora registrate), la scelta del nuovo assessore è decisiva.

Al di là dell’autorevolezza, sulla scrivania della sindaca compaiono profili diversi con idee differenti. «Ci sono in ballo quattordici persone», ha detto l’assessore al commercio Adriano Meloni, che gode di un filo diretto con la Casaleggio Associati.

Alcuni dei nomi in ballo trapelano. Qualcuno parla di Marco Nicolai, che insegna finanza pubblica a Brescia e ha diretto la finanziaria della Regione Lombardia. Si fa il anche nome di Ugo Marchetti, generale della Guardia di finanza che era stato arruolato da Alfio Marchini, candidato «civico» di Forza Italia. Spunta anche un uomo di sinistra: è Mario Pianta, docente all’università di Urbino e fondatore della campagna Sbilanciamoci, che i lettori di questo giornale conoscono molto bene.

La delega al bilancio riguarda innanzitutto la delicata partita del debito di 13 miliardi di euro che grava sulle casse comunali. Pendono 1686 mutui, quasi interamente contratti con la Cassa depositi e prestiti, il gruppo controllato dal ministero del tesoro che gestisce il risparmio postale degli italiani.

Una montagna di soldi, un ginepraio di condizioni contrattuali e variabili finanziarie che sfida l’automatismo grillino sulla competenza e l’onestà. Al contrario, gestire questo passivo significa decidere quanto e come pagare, se e in che modo ristrutturare e spacchettare in base ai creditori e alle responsabilità del passato. Bisogna operare una scelta che non appartiene alla neutralità della «tecnica». È una faccenda squisitamente politica.

Prima del voto, diversi operatori di borsa e osservatori della finanza avevano confidato nella capacità delle amministrazioni pentastellate nel risanare i bilanci «tagliando la spesa corrente». D’altro canto, Raggi in campagna elettorale aveva detto di voler rompere la gabbia del debito e del patto di stabilità, promettendo un «audit», per fare chiarezza e verificare l’effettiva consistenza del passivo.

Gli attivisti di Decide Roma avevano scritto una lettera aperta alla sindaca per farle notare, tra le altre cose, come l’insostenibilità della finanza pubblica origini «da un deficit strutturale delle entrate di bilancio del Comune di Roma e non – come solitamente si afferma – da un eccesso di spesa».

Con la nomina di Marcello Minenna, il responsabile dell’ufficio Analisi quantitative della Consob che aveva affiancato il commissario di Roma Francesco Paolo Tronca proprio occupandosi di analisi del debito, la faccenda si era messa su binari definiti. Minenna era tiepido sull’audit e intenzionato a proporre al governo una «cabina di compensazione», aveva promesso di togliere risorse alle operazioni puramente finanziarie e polemizzato con il commissario straordinario per il Piano di rientro Silvia Scozzese.

Soltanto per qualche giorno si è affacciato sulla voragine di debiti Raffaele De Dominicis. Il quale però dall’osservatorio della Corte dei Conti del Lazio, che ha presieduto fino a qualche mese fa, doveva avere uno sguardo un po’ diverso da quello di Minenna. Più esattore che tessitore di exit strategy, come aveva annunciato parlando di salario accessorio. Adesso circolano altri nomi e si prospettano diverse strategie. E dal Campidoglio fanno sapere: «Si lavora per scegliere il nuovo assessore in tempi brevi».