Washington smentisce il quotidiano Al Arabi al Jadid che, citando fonti egiziane, ha riferito ieri di un via libera dato dall’Amministrazione Biden all’offensiva dell’esercito israeliano contro la città di Rafah. In cambio, ha aggiunto il giornale, il gabinetto di guerra guidato da Benyamin Netanyahu promette di rispondere in modo contenuto all’attacco iraniano di sabato notte così da non trascinare il Medio oriente in una nuova guerra. Risposta israeliana che, secondo la Abc, non dovrebbe scattare prima della fine della Pasqua ebraica, il 29 aprile. «Siamo sempre preoccupati per una invasione israeliana a Rafah che potrebbe causare un gran numero di vittime civili», hanno detto funzionari americani al sito Axios. Eppure, non sono pochi i segnali che vanno nella direzione indicata da Al Arabi Al Jadid.

Gli israeliani, secondo altre indiscrezioni, intenderebbero dividere la città in quadrati che verrebbero attaccati uno dopo l’altro. La città non finirebbe tutta insieme sotto il fuoco israeliano e la popolazione civile avrebbe il tempo e il modo di spostarsi. A Khan Yunis, Mawasi e in altre aree verrebbero allestite tendopoli per gli sfollati. Con 400mila abitanti e oltre un milione di sfollati ammassati a Rafah e lungo il confine con l’Egitto, questo «piano» si rivelerà una catastrofe. Lo temono i palestinesi e lo sanno gli egiziani che stanno accelerando la loro preparazione all’invasione israeliana di Rafah e alla possibilità concreta che migliaia di palestinesi in fuga possano superare le barriere di confine. Israele peraltro ha già lanciato attacchi in aree adiacenti alla striscia tra Gaza e l’Egitto e nei pressi del cosiddetto Corridoio Filadelfia che, sostiene, verrebbe utilizzato per far arrivare armi ad Hamas.

Da parte sua Washington, a parole, conferma la vicinanza alla popolazione civile di Gaza stremata dall’offensiva israeliana e, allo stesso tempo, la sua linea di contrasto attivo alla realizzazione dei diritti dei palestinesi. Il veto Usa atteso ieri al riconoscimento dello Stato di Palestina da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, conferma che non è cambiato nulla. Lo Stato palestinese che gli americani affermano di sostenere nei Territori occupati di Cisgiordania e Gaza, nel quadro della «Soluzione a Due Stati», potrà vedere la luce solo in un accordo bilaterale; quindi, con l’approvazione di Israele, e non perché lo sanciscono il diritto internazionale e le risoluzioni votate dall’Onu. Di fatto mai. Per il ministro israeliano della Sicurezza, Itamar Ben Gvir, ad esempio, i palestinesi non dovranno mai essere indipendenti. E propone le sue soluzioni. La pena di morte, quindi l’eliminazione fisica, ha scritto ieri su X, è un sistema che, se applicato contro i «terroristi», aiuterebbe a svuotare le carceri piene di prigionieri a causa dell’arresto di molte migliaia di palestinesi dal 7 ottobre.

Oltre Rafah, le operazioni israeliane proseguono senza sosta in tutta Gaza, all’ombra delle tensioni tra Israele e Iran che potrebbero sfociare in una guerra vera e propria tra i due paesi. Il portavoce militare ieri ha riferito che la divisione 162 ha preso il controllo definitivo dei due versanti del Corridoio Netzer, la strada israeliana che taglia in due la Striscia da est a ovest. Per gli sfollati palestinesi sarà quasi impossibile superare questa barriera e rientrare nel nord di Gaza di cui Israele intende mantenere il controllo molto a lungo. Il totale dei morti palestinesi è stato aggiornato dal ministero della sanità a 33.970 di cui 71 nelle ultime 24 ore. A Rafah sono state uccise otto persone di una stessa famiglia, la Ayyad, tra cui cinque bambini. In Israele invece suscitano sdegno le immagini, diffuse dai media, che mostrano l’ostaggio Yarden Bibas mentre viene portato a Gaza dopo essere stato rapito il 7 ottobre nel kibbutz di Nir Oz, insieme alla moglie Shiri e ai due figli Kfir (10 mesi) e di Ariel, di cui non si sa più nulla.

La condizione di Gaza, in realtà di tutti i palestinesi, è ben rappresentata da un’altra immagine che fa notizia in queste ore. Si tratta della cosiddetta la Pietà di Gaza, la fotografia scattata il 17 ottobre 2023 all’ospedale Nasser dal fotoreporter Mohammed Salem (Reuters) che ha vinto il premio di fotografia dell’anno a cura del World Press Photo. Mostra una donna palestinese, Inas Abu Maamar, 36 anni, accovacciata per terra, mentre stringe a sé il corpo della nipotina morta, avvolta in un sudario bianco. L’immagine ricorda il capolavoro di Michelangelo.