«Insorgiamo» è il motto del Collettivo operaio della GKN e l’Istituto de Martino ha scelto di stare al loro fianco con gli strumenti della storia orale e dell’antropologia visuale, realizzando un documentario con la regia di Lorenzo e Filippo Maria Gori. Il Collettivo operaio di Campi Bisenzio ha preso in mano il proprio destino occupando la fabbrica ed evitando sapientemente di innescare incidenti con gli inquietanti soggetti della guard labor, i mazzieri ingaggiati dal Fondo Melrose.

Hanno poi declinato con garbo ma con estrema convinzione le forme di pietismo e di solidarietà di tipo assistenziale che subito sono emerse, ben consapevoli di non voler essere confinati nella dimensione caritatevole di «ultimi» e di «poveracci» (spesso associata invece ai lavoratori immigrati).
Loro hanno scelto di fare politica e – per fortuna loro e nostra – la sanno fare. E in modo nuovo.

«NOI STIAMO COSÌ, e voi come state? Voi tutti, come state? Perché a volte c’è una cosa paradossale, noi fino al 22 settembre, ad oggi, sappiamo che abbiamo uno stipendio, e poi ci sarà il TFR e poi forse degli accordi, etc. A volte quelli che ci vengono a domandare come stiamo, pure in questa situazione, stanno messi peggio di noi, perché magari, non lo dicono, ma hanno il contratto precario che gli scade questa settimana, magari il giornalista che mi viene a intervistare fa il pezzo a 5 euro l’ora, a cottimo, beh, noi non abbiamo mai lavorato a cottimo e mai lo faremo, quindi, ve lo chiediamo noi, voi come state? Quanto siete disposti ad andare avanti ad accettare questo? Nel nostro caso è stato un licenziamento in tronco, nel vostro magari farà meno rumore e allora siamo noi a chiedervi come state?”».

DARIO SALVETTI, tra le figure emblematiche di questa mobilitazione, ci sollecita a fare i conti con noi stessi per ragionare sul mondo del lavoro come elemento basilare della vita sociale e del benessere di un territorio. Questo territorio (la «campagna urbanizzata» immortalata dal film “Berlinguer ti voglio bene”, nel cuore della Toscana «rossa») si è sentito defraudato di una fabbrica prestigiosa, con lavoratori di alta specializzazione che sanno produrre i migliori semiassi per automobili su scala internazionale. Una fabbrica che inorgoglisce chi vi lavora e che ha un collettivo operaio forte, coeso e fortemente sindacalizzato. Il collettivo della GKN aggrega le forze del territorio sulla base di un nuovo linguaggio politico che risulta efficace, inclusivo, radicale ma non settario o anacronistico.

INFATTI, GLI OPERAI solidarizzano con commercianti e artigiani del territorio colpiti dalla pandemia, provando a spezzare la perniciosa divisione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, e coinvolgono i lavoratori e le lavoratrici dell’indotto (mensa, manutenzione, giardinaggio, etc.) denunciando i rischi ambientali della chiusura e dell’abbandono dello stabilimento e facendosi carico direttamente della manutenzione degli impianti, del decoro della struttura e soprattutto del monitoraggio delle acque reflue e dei rifiuti pericolosi. Sanno mandare avanti benissimo la fabbrica da soli e nonostante il boicottaggio della proprietà hanno completato una consegna alla Ferrari che non poteva fare a meno dei loro semiassi.

Sanno di essere il «villaggio di Obelix» – è una espressione dello stesso Dario – che resiste di fronte a delle scelte di mercato favorite e auspicate dalla stessa legislazione europea, ben consci dei rapporti di forza sfavorevoli, ma intanto hanno aperto un varco per ragionare sul futuro e hanno aggregato in maniera trasversale agli schieramenti, oltre le nicchie identitarie. Intanto si sta discutendo una legge per regolamentare la delocalizzazione delle produzioni industriali dopo decenni di egemonia liberista. Certo, sono realisti, e per questo sono mediamente pessimisti, visto che il Fondo finanziario che detiene la proprietà vive nell’empireo deterritorializzato della finanza, del tutto insensibile ai costi sociali delle proprie strategie di profitto. Al tempo stesso non vi è alcun cedimento.

ERNESTO DE MARTINO aveva colto magistralmente questa sottile linea di confine tra la precarietà dei rapporti di forza e la potenza della resistenza operaia basata sull’ethos collettivo di responsabilità e disciplina dei corpi in grado di unire in un immenso corpo collettivo le migliaia e migliaia di lavoratori per cui «basta un carro armato per battere decine di migliaia di operai decisi alla violenza materiale, ma non basta tutta la potenza nucleare di cui dispongono gli stati moderni per costringere un solo operaio a capitolare” (La fine del mondo, pp.455-56).

Nel «villaggio di Obelix» la forza dell’organizzazione sindacale, la coesione e la solidarietà tra i lavoratori – la migliore eredità della tradizione socialista e comunista – si è innestata su una spiccata creatività culturale (slogan, canti, video) e su una progettualità politica innovativa e pragmatica (il costo sociale delle delocalizzazioni) in grado di imprimere un segno diverso, innanzitutto, alla comunicazione.

«TOCCA A UNO, tocca a tutti»: questo slogan viene ripetuto con ironia per esorcizzare la probabile sconfitta. Sono le parole d’ordine degli operai indiani della Texprint di Prato che i lavoratori della GKN hanno scelto di fare proprie. Una strofa del loro canto di lotta dice: «Non c’è resa e non c’è rassegnazione, ma solo tanto rabbia che cresce dentro me». L’inno è nato nella chat degli operai a partire da un coro degli ultrà della Fiorentina basato sulla canzoncina “Amico è” di Dario Baldan Bembo e Caterina Caselli. Usare la cultura pop per veicolare un messaggio di protesta è un’antica arma di comunicazione del mondo operaio e posso assicurarvi che sentirla intonare dal vivo dai lavoratori della GKN scuote gli animi e scalda i cuori.

* Istituto Ernesto de Martino