Il più lungo sciopero della storia di Radio France è finito ieri, giovedì 16 aprile, alle ore 13. La vigilia, il fronte sindacale si era spaccato, la Cgt era rimasta sola a proseguire la protesta, mentre Cfdt, Sud, Unsa, Snfort, le altre organizzazioni sindacali che hanno partecipato al movimento, avevano deciso già mercoledì 15 aprile di mettere fine alla lunga protesta iniziata il 19 marzo scorso, guidata dal personale tecnico, dai realizzatori e produttori di programmi.

Il sindacato dei giornalisti Snj non ha partecipato in prima linea allo sciopero – è in piena trattativa sul contratto – anche se alcuni iscritti vi hanno aderito a titolo personale.

Ridimensionare e “modernizzare”
Risultato, sono andate in onda lunghe playlist musicali al posto dei tradizionali programmi, su tutte le sette reti della galassia della radio pubblica francese, entrata in un periodo di turbolenze a causa della diminuzione dei finanziamenti pubblici e messa di fronte al primo piano di tagli al personale della sua storia: sono previste fino a 380 «dimissioni volontarie» sui 4600 dipendenti, con priorità per i pre-pensionamenti dei senior (anche se nel 2016-17 un numero consistente raggiungerà l’età della pensione).

Le reti di Radio France non hanno quasi pubblicità (a parte la poca istituzionale), sono finanziate al 90% dal canone (pagato da tutti, viene prelevato con le tasse sui redditi), ma lo stato, per ragioni di austerità di budget, ha diminuito il finanziamento in corso previsto dal «contratto di obiettivi e mezzi» (il Com) di 87 milioni su tre anni su un budget complessivo di 650 milioni di euro, mentre un nuovo Com deve essere discusso per il prossimo triennio.

La direzione vuole accelerare sulla “modernizzazione”, più web e meno onde hertziane (è stato persino preso in considerazione l’abbandono delle trasmissioni in onde medie), maggiori sinergie tra le reti, con la sola ottica del risparmio. In più, grava sui conti di Radio France il costo in crescita esponenziale della ristrutturazione dell’imponente edificio che ospita la Maison de la Radio, nel XVI arrondissement, un’opera dell’architetto Henry Bernard, inaugurata nel dicembre ’63 da Charles de Gaulle e André Malraux, passato dai 262 milioni previsti a 575. Un bell’edificio che ha avuto bisogno di interventi pesanti, dall’amianto alla modernizzazione degli impianti. Ora lo stato potrebbe fare un “gesto”, ma Radio France dovrà comunque negoziare un prestito con le banche per portare a termine i lavori interminabili.

Una direzione screditata, una mancanza di dialogo con i rappresentanti del personale, e soprattutto un’angoscia diffusa per il futuro, in un periodo in cui l’informazione sta subendo cambiamenti epocali, su un fondo di ampliamento del lavoro precario e di minacce di tagli al personale stabile: su questi ingredienti si è costruita una protesta durata così a lungo. Che si è alla fine arenata senza aver ottenuto soddisfazione. Difatti, tutto resta aperto.

In primo luogo la domanda di fondo: quale servizio pubblico dell’informazione, in un mondo dove prevale la reddittività immediata e la corsa all’audience? In realtà, le reti di Radio France si difendono più che bene su questo terreno: malgrado lo sciopero, per il periodo gennaio-marzo, secondo i dati Médiamétrie, France Inter, la rete principale, ha superato il 10% di share e il suo “mattinale” (dalle 7 alle 9) è il più ascoltato di Francia; France Info (rete di informazione continua), France Bleu (reti regionali), France Culture e France Musique hanno tutte registrato una crescita negli ascolti, confermando il legame che gli ascoltatori hanno con i criteri del servizio pubblico.

La logica travolgente del privato
Come uscire dalla lunga protesta senza troppi danni, mantenendo in vita un modello che la logica dominante del “privato” vorrebbe travolgere? Il dialogo con i 4600 dipendenti di Radio France è ora affidato a un mediatore, Dominique-Jean Chertier, che il governo ha accettato di nominare dopo settimane di protesta. Chertier resterà tre mesi a Radio France e i sindacati saranno invitati al tavolo delle trattative e informati sulla situazione in corso.

La ministra della cultura, Fleur Pellerin, dopo lunghe settimane di quasi indifferenza, ha assicurato che il governo sarà «garante» della soluzione trovata. Il ministero, difatti, assicura la «tutela» di Radio France, anche se, per decisione di François Hollande, a differenza del passato non nomina più la direzione (né alla radio né alla tv pubblica).

Lo sciopero non ha ottenuto la testa del presidente di Radio France, Mathieu Gallet, nominato un anno fa dal Csa (Consiglio superiore dell’audiovisivo), una personalità legata a Sarkozy, con cui aveva collaborato durante la scorsa presidenza. Gallet è sotto esame da parte dell’ispezione generale delle finanze, dopo le rivelazioni del Canard Enchainé sulle spese pazze per la ristrutturazione del proprio ufficio (cambio della moquette, che era nuova, restauro delle boiseries), per il suo train-de-vie a spese della società pubblica (persino capricci sui sedili dell’auto di funzione) e per aver concluso un contratto esterno per la propria “comunicazione”, al costo di 90mila euro l’anno, mentre esiste all’interno già una struttura ad hoc. Ma ai dipendenti Gallet chiede 50 milioni di tagli, per riportare il budget in equilibrio nel 2019.

Per la giornalista di France Info, Marie-Christine Vallet, c’è stata l’impressione che «lo stato ci avesse abbandonato già nel 2012, quando per la prima volta è stato proposto un piano di riduzione del personale, come se la logica del privato avesse ormai la meglio su quella del servizio pubblico». La direzione precedente aveva fatto sapere ai dipendenti che i soldi stavano diminuendo. «Aveva preso l’impegno di non fare licenziamenti – spiega Marie-Christine Vallet – e noi abbiamo fatto degli sforzi per diminuire le spese di funzionamento».

Ma il budget è aumentato automaticamente, soprattutto a causa della massa salariale, per gli scatti automatici dovuti all’invecchiamento del personale. Le rivendicazioni sindacali si sono concentrate sui finanziamenti e sul budget: rifiuto di troppe sinergie per conservare l’identità delle diverse reti, protesta particolarmente forte nelle reti locali di France Bleu che si oppongono a una massiccia messa in comune dei contenuti.

La protesta è stata vittoriosa sul mantenimento delle due orchestre della Maison de la Radio, mentre Gallet avrebbe voluto cederne una, malgrado la recente inaugurazione di un nuovo auditorium alla Maison de Radio France. Probabilmente le due orchestre saranno un po’ «ridimensionate». Gallet aveva previsto l’esternalizzazione di alcuni servizi (dalla pulizia alla sicurezza), ma ha dovuto rinunciare.

Precariato, una situazione esplosiva
Il lungo sciopero lascia un clima amaro all’interno della Maison de la Radio, con le ultime assemblee generali, particolarmente tese. Il precariato, molto diffuso anche a Radio France, non è mai stato al centro delle motivazioni ufficiali dello sciopero, anche se è scottante e molto sentito. In tutti i servizi ci sono contratti a tempo determinato, di 5-10-15 giorni. Per i giornalisti, esiste un planning, con una lista di persone che hanno vinto un concorso e sono impiegati, a rotazione, per sostituire i titolari in missione o in vacanza.

Un tempo, questo purgatorio di contratti precari durava due-tre anni, poi arrivava l’assunzione a tempo indeterminato. Adesso i tempi si sono allungati, il precariato più durare fino a 6-7 anni. E questo vale anche – e soprattutto – per collaboratori, registi, produttori di programmi, tecnici. Una situazione esplosiva, che si scontra con il programma di riduzione del personale con contratti a tempo indeterminato.