Vorrei continuare la conversazione con il nostro amico e compagno Luigi Manconi. Nel suo articolo del 14 marzo su la Repubblica, pone una domanda legittima e durissima: come mai, in tante prese di posizione di persone identificate come di sinistra “le vittime scompaiono”, e tanti ragionamenti geopolitici “espungono la ‘nuda vita’ e la cruda sofferenza” del popolo ucraino, fino al “loro confinamento nelle zone oscure delle dinamiche storiche e degli eventi sociali”? E racconta: questa sinistra “mai l’ho trovata accanto a chi si batteva contro l’uso del letto di contenzione a danno di persone fragili; e contro gli abusi di polizia che hanno portato alla morte di Giuseppe Uva e Stefano Cucchi; e nella solidarietà a Mimmo Lucano”, e così via.

Ora, si dà il caso che poche settimane fa un’organizzazione di sinistra (il Circolo Gianni Bosio) ha chiamato Luigi Manconi a parlare di violenza nelle carceri presentando una ricerca svolta da un collettivo di sinistra di Napoli. Se c’è un giornale che si è trovato schierato senza sé e senza ma con lui per Cucchi, Aldrovandi, Uva. e tutti gli altri (ed è inutile dire di Mimmo Lucano), questo è il manifesto, “quotidiano comunista”. Manconi ha fatto benissimo a non condurre queste lotte come battaglie di parte; ma alla fine dalla sua parte c’era molta più sinistra, e con più passione, che liberali di destra e di centro.
Questo Manconi lo sa, e a leggerlo bene sta molto attento a parlare di “sinistra autoritaria” e non di sinistra in genere (anzi, spera che la sinistra autoritaria sia solo una parte non maggioritaria della sinistra).

Ma sulle pagine di un quotidiano sempre meno attento ai distinguo e alle sfumature, il suo articolo rischia di essere letto, con soddisfazione di chi gli scrive intorno, come un attacco a tutta la sinistra, una generale “reductio ad Canforam” di tutti quelli che si sforzano di pensare in altro modo, e una delega dell’umanità e della compassione al pensiero dominante.
Per questo, penso che, come avviene in modo pervasivo sulla pagine di Repubblica, proclamare che chiunque abbia idee diverse sul modo migliore di sostenere la difesa del popolo ucraino sta su posizioni pro-Putin o anche “equidistanti” significa commettere lo stesso abuso di chi dicesse che i ragionamenti di Manconi sono della stessa stregua di quelli di Salvini o del principe William – aiutiamoli perche sono profughi “veri” di una guerra” vera”, sono come noi, bianchi europei, istruiti… Onestà intellettuale e rigore logico impongono di apprezzare la differenza.

Piuttosto, il ragionamento di Manconi passa per un’altra domanda, più profonda: la sinistra è la sinistra autoritaria o no? Ora, secondo me la frase “sinistra autoritaria” è un ossimoro: se uno sta dalla parte del potere e crede essere di sinistra, secondo me ha sbagliato collocazione e gli va detto chiaramente.
A proposito di compassione a sinistra per le vittime, penso alla compassione di tanti partigiani persino per il nemico: Lucia Ottobrini., partigiana, che faceva saltare i camion dei soldati nazisti ma diceva “anche il nemico è un uomo”, ricordava quei ragazzi che tornavano a casa cantando, e si è portata dentro la pena tutta la vita (perche, come diceva Carla Capponi, partigiana, uccidere è un atto contro natura e ogni volta che lo fai uccidi un pezzetto di te). Dante Bartolini, partigiano, raccontava le epiche battaglie, le camionette naziste date alle fiamme – ma non dimenticava che quelli che ci morivano chiusi dentro erano “povera gente”. Come tutti i partigiani, anche adesso in altre parti del mondo, sparavano e uccidevano, ma le vittime, persino i nemici, le vedevano e ne soffrivano.

Perciò la parola problematica qui non è tanto “sinistra” quanto “autoritaria”, cioè il rapporto fra la umana visibilità delle vittime e la concezione di tutto il potere, non solo in questa sinistra ma in generale. Fin da bambino mi hanno insegnato orgogliosamente che- a proposito di Crimea – Camillo Benso di Cavour diceva che gli servivano solo un migliaio di morti per sedersi al tavolo della pace (poi l’ha ripetuto Mussolini; ma l’origine è nel Risorgimento).

Più recentemente, nel 1996, un giornalista chiedeva al Segretario di Stato Usa Madeline Albright: “Ci dicono che in Iraq sono morti mezzo milione di bambini. Cioè, più che Hiroshima. È un prezzo che valeva la pena?” E lei: “È un scelta molto difficile, ma sì – pensiamo che ne valga la pena“. E, a differenza di Canfora che può solo esprimere un’opinione discutibile, Madeline Albright il potere di fare uccidere quei bambini e bambine ce l’aveva, e lo usava.

Dunque, quale “concezione dello stato” alimenta questa visione? Né Cavour né Albright appartenevano alla sinistra autoritaria, erano più o meno liberal democratici. Allora – e qui mi rifaccio anche ad alcune delle cose che Manconi diceva alla Casa della memoria poco tempo fa, parlando di “violenza come ordinaria, come fattore normale di un esercizio normale del potere”. in un’istituzione dello stato democratico – nella frase “sinistra autoritaria” il termine su cui ragionare è il secondo: il problema non è tanto la sinistra quanto l’autorità, il potere. Se uno apprezza il potere autoritario e crede di essere di sinistra, credo che abbia sbagliato collocazione – e che piuttosto abbia interiorizzato la visione e la pratica del potere delle classi dominanti. Una sinistra cinica e autoritaria ( ed è bene che lo diciamo con chiarezza) è una sinistra subalterna che nega la sua stessa natura; per il potere in tutte le sue forme, compreso quello liberale e democratico, invece, il cinismo è intrinseco a tutta la sua storia.

Perciò spero che mi si perdonerà se adesso dico una parola che non ho trovato in nessun reportage o editoriale dei migliori giornali italiani: “Yemen”. Non lo dico per “parlare d’altro”: parlo di adesso e di qui, perché bambine e bambini (e persone adulte) laggiù stanno morendo in questo momento, e a ucciderli sono anche armi da noi prodotte e fornite. In quale “zona oscura” sono finiti? Eppure ci riguardano direttamente.

Capiamoci: la questione non è “questa sì, quella no” secondo la logica binaria che domina il discorso in atto; la questione è se la nostra umanità è abbastanza vasta da poter avere empatia con tutte e due. Siamo capaci? Perché se no, l’indifferenza per lo Yemen segna un cerchio di fuoco attorno al valore di parecchi (non tutti!) dei proclami di solidarietà per l’Ucraina (e viceversa). Forse il problema è che lo Yemen non sta “nel cuore dell’Europa”, né geograficamente né sentimentalmente. E allora la domanda è: quanto è grande, e fin dove arriva il nostro cuore?