È un’ombra che ha gravato pesantemente sulla figura di Jorge Mario Bergoglio quella della sua presunta connivenza con la dittatura militare argentina. E che quell’accusa non l’abbia mai digerita, lo indica bene la professione di innocenza da lui ribadita, non senza accenti polemici, durante la conversazione con i suoi confratelli gesuiti ungheresi a Budapest, avvenuta il 29 aprile e pubblicata martedì da La Civiltà Cattolica.

«Alcuni» del governo Kirchner «volevano “tagliarmi la testa”, tirando in ballo non tanto il caso di Jálics, ma mettendo in discussione tutto il mio modo di agire durante la dittatura», ha detto il papa riferendosi alla complessa vicenda dei gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jálics, sequestrati nel maggio del 1976 e torturati per cinque mesi, secondo i quali l’allora provinciale della Compagnia di Gesù (tra il 1973 e il 1979) li avrebbe di fatto consegnati ai militari.

Accuse che poi erano sostanzialmente cadute quando Jálics aveva spiegato – era il 2013 – di aver creduto fino alla fine degli anni ’90 che il suo sequestro fosse il risultato di una denuncia di Bergoglio, ma che poi, dopo aver parlato con diverse persone, era giunto alla conclusione che si trattava di supposizione infondata. Il provinciale – scrive Jálics – «non denunciò né me né Orlando Yorio»; «È un errore affermare che la nostra cattura avvenne per iniziativa di Bergoglio».

E A DEFINIRE «TOTALMENTE FALSA» l’accusa che il provinciale avesse tradito i suoi sacerdoti era stato anche Germán Castelli, uno dei tre giudici del processo Esma nell’ambito del quale l’allora cardinale era stato ascoltato, nel 2010, nella sede dell’arcivescovado di Buenos Aires come persona informata sui fatti, quando era arcivescovo della capitale: «Abbiamo analizzato la vicenda, ascoltato quella versione, verificato i dati e siamo giunti alla conclusione che il suo comportamento non aveva alcun rilievo giudiziario».

Proprio a quella testimonianza, durata oltre 4 ore, ha accennato il papa nel suo colloquio con i gesuiti ungheresi, raccontando di aver sempre «risposto con la verità. Ma, per me, l’unica domanda seria e fondata era stata quella dell’avvocato che apparteneva al Partito comunista. Ed è grazie a questa domanda che le cose si erano chiarite».

Che la vicenda abbia lasciato strascichi, sembra tuttavia confermarlo lo stesso papa, rievocando, a Budapest, il suo ultimo incontro con Jálics, scomparso nel 2021 (Yorio era morto già nel 2000): «Quando venne in Vaticano, l’ultima volta, mi resi conto che soffriva, perché non sapeva come parlarmi. C’era una distanza tra noi. Le ferite del passato rimanevano in me e in lui, perché entrambi – proprio così ha detto Francesco – abbiamo vissuto quella persecuzione». E ha aggiunto: «Quando Jálics e Yorio furono catturati dai militari, la situazione che si viveva in Argentina era confusa e non era affatto chiaro cosa si dovesse fare. Io ho fatto quello che sentivo di dover fare per difenderli. Fu una situazione molto dolorosa».

QUELL’OMBRA, in ogni caso, non si è mai dissolta completamente. E se non sono poi mancate le ricostruzioni degli sforzi compiuti dall’allora provinciale dei gesuiti per salvare persone in pericolo negli anni del regime militare – si parla di più di un centinaio di casi (alla «lista di Bergoglio» è dedicato anche un libro di Nello Scavo del 2013) – è un fatto che il gesuita poi diventato papa non denunciò mai il dramma dei desaparecidos, evitando, secondo le parole pronunciate una volta da Nora Cortiñas delle Madri di Piazza di Maggio-Linea Fondatrice, «di dire cose che il suo ministero avrebbe dovuto impedirgli di tacere».

Non è stato, insomma, all’altezza di un Oscar Romero, l’arcivescovo di San Salvador che ha pagato le sue denunce con la vita, né di un Enrique Angelelli, il vescovo argentino assassinato dai militari nel 1976 per la sua difesa dei diritti umani: se non si è macchiato di complicità come numerosi esponenti della gerarchia argentina, ha fatto parte, piuttosto, di quel settore di sacerdoti e religiosi che, pur evitando di condannare pubblicamente il regime militare, non lo hanno però neppure sostenuto, riuscendo anche a salvare la vita a diverse persone.