In piazza Smolenskaya , al «grattacielo Stalin» da sempre sede del ministero degli Esteri, il via vai è iniziato a metà nottata. Una volta confermato l’attacco anglo-franco-americano sono arrivati alla chetichella Sergey Lavrov e la sua portavoce Marya Zacharova e poi all’alba a sorpresa anche Putin in costante contatto con i funzionari del ministero della difesa a Damasco. Erano questi ultimi a fornire i primi dati sul bombardamento. Secondo il ministero su un totale di 103 missili lanciati ne sarebbero stati intercettati dalla contraerea siriana ben 71. Veniva anche confermato che le postazioni russe non erano state coinvolte nel bombardamento.
Successivamente nel briefing di uno dei capi dello Stato maggiore delle forze armate della Federazione Russa, il colonnello generale Sergey Rudskoy, ha ammonito Washington: «Alcuni anni fa su richiesta di alcuni dei nostri partner occidentali, abbiamo rifiutato di fornire alla Siria il sistema antiaereo S-300. Alla luce di quanto successo oggi credo che sia possibile tornare su quella decisione. E li forniremo non solo alla Siria ma anche in altri paesi», ha detto il generale.
In prima mattinata era lo stesso Putin poi a presentarsi davanti alle telecamere. «L’attacco di questa notte – ha dichiarato il presidente russo – è stato realizzato senza il benestare del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e in violazione della Carta dell’organizzazione». Putin ha definito l’attacco «un atto di aggressione nei confronti di uno Stato sovrano che è in prima linea nella lotta contro il terrorismo». Abbandonati i toni soft dei giorni scorsi Putin ha anche accusato gli Usa «di non voler lenire le sofferenze della popolazione civile, ma di voler aiutare i terroristi». Ha anche sottolineato che i paesi occidentali «hanno cinicamente ignorato l’invio di esperti dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche in Siria e hanno compiuto un’azione militare senza attendere l’esito delle indagini». Marya Zacharova ha ricordato come «i bombardamenti sono stati decisi in fretta e furia per impedire agli esperti dell’Organizzazione di raggiungere in tempo le località del presunto attacco chimico del 7 aprile». Zacharova ritiene che in realtà gli attacchi della scorsa notte non siano rivolti contro le presunte fabbriche di armi chimiche: «Sono stati colpiti il Centro di ricerca di Damasco, il quartier generale della Guardia Repubblicana, la base aerea della difesa, diversi aeroporti militari. Sono stati causati notevoli danni materiali, compresi molte infrastrutture civili». Il Cremlino chiedeva inoltre «la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per impedire il ripetersi di atti sconsiderati di aggressione che mettono in pericolo la pace e la sicurezza nella regione, profondamente destabilizzata delle avventure criminali degli Stati Uniti e dei loro alleati in Iraq e in Libia».
In serata in assemblea plenaria al Palazzo di Vetro, poi il rappresentante permanente della Russia presso l’Onu, Vasily Nebenzia ha alzato ancora i toni: «Le azioni degli Stati Uniti e dei loro alleati in Siria, sono teppismo di piccolo cabotaggio», ha accusato Nebenzia. Per il diplomatico russo «l’Occidente sta guidando un’offensiva volta allo smembramento della Siria». La Russia del resto è convinta che l’attacco è stato compiuto con l’obiettivo strategico di mettere una pietra tombale sui Protocolli di Astana e sugli più recenti accordi di Ankara. Secondo Nebenzia inoltre «l’attacco lanciato dagli Stati Uniti e dai loro alleati aggrava la situazione umanitaria in Siria e provocherà una nuova ondata di rifugiati verso l’Europa».
A rendere ancora più piccante il menù della giornata ci ha pensato Lavrov, rientrando inaspettatamente al ministero per un’ulteriore conferenza stampa. Il diplomatico ha reso per la prima volta pubblici i risultati dell’inchiesta sul caso Skripal e ha sostenuto che una indagine indipendente realizzata in Svizzera è giunta alla conclusione che il gas nervino di Salisbury non è mai stato prodotto in Russia o in Urss ma solo in Usa e Gran Bretagna». Una rivelazione destinata a gettare altra benzina sul fuoco nei già difficili rapporti tra occidente a Russia.