Se Lukashenko piange, Putin non ride. L’altro ieri il presidente russo ha deciso in fretta e furia di portare il paese al voto per confermare le modifiche alla Costituzione che se approvate gli permetterebbero di restare installato al Cremlino fino al 2036.

In autunno, con la recessione che bussa alle porte, potrebbe essere troppo tardi perché i mal di pancia costituzionali rischierebbero di aggiungersi a movimenti di protesta sociale di cui si sono colti i primi segnali nelle settimane di quarantena.

Modifiche della principale legge della Stato sono tutte in chiave conservativa: prevedono tra l’altro l’introduzione dell’unitа della famiglia rigidamente etero, il richiamo a Dio e l’istituzionalizzazione della superioritа delle leggi interne su quelle internazionali.

Era stato deciso che si sarebbe votato non solo il primo luglio, mercoledì, che diventa una tantum giornata festiva, ma anche nei sei giorni precedenti per cercare di portare alle urne il maggior numero di persone.
Ieri di fronte a sondaggi scioccanti che davano la partecipazione al voto prevista del 45% e con percentuali favorevoli poco sopra il 50%, la Commissione elettorale ha deciso di facilitare ancora di più il voto: in provincia si potrà votare direttamente a casa e nelle dacie di campagna prenotando una sorta di seggio mobile mentre a San Pietroburgo e Mosca (oltre il 15% del corpo elettorale complessivo e tra i meno mobilitabili) sarà possibile per la prima volta nella storia della Russia il voto elettronico.

Il portale Medusa ha raccolto le confidenze di uno degli spin doctors di Putin per la campagna referendaria. «Ad aprile le autorità locali hanno iniziato a ricevere gli obiettivi da raggiungere nella partecipazione al voto desiderati dal Cremlino che però si sono gradualmente ridotti: dal 70% al 65%, e ora al 55%», afferma la “gola profonda” dello staff presidenziale.

L’affluenza alle urne deve essere credibile e a luglio l’affluenza nelle regioni della Russia centrale non raggiungerа mai il 70-80%. Se le cose si mettessero male si potrebbero usare anche mezzucci già visti durante il referendum in Crimea del 2014 quando si tennero chiusi parte dei seggi per dare “l’effetto coda” davanti alle scuole.

Si tratta di tecnologie della mobilitazione al voto del sistema russo poco comprensibile per un occidentale che assommano la tradizione sovietica del sostegno passivo al regime fino all’utilizzo dei flussi della spesa pubblica verso le regioni e una martellante propaganda televisiva dove i contrari alle modifiche sono confinati in vocianti talk-show di seconda serata.

Putin si è affidato per questi aspetti, ancora alla consolidata Pr Agency Ima Consulting, che ha fatto miracoli nelle presidenziali del 2018. L’obiettivo a questo punto, secondo l’anonimo leader di Russia Unita, è di raggiungere il 55% di partecipazione con un 60% di voti favorevoli. «Grasso che cola in questi tempi», conclude sconsolato il dirigente.

Girando per le strade della capitale in questi giorni, la percezione è che i moscoviti abbiano tutto per la testa meno il referendum. Al mercato della tecnologia a Soviolovsky metà delle centinaia di negozietti che vendono computer e smartphone di seconda mano non hanno tirato su la saracinesca lunedì e probabilmente non la rialzeranno più.

I dati della caduta del reddito e dell’aumento delle disoccupazione segnalano impietosamente che la tenuta sociale del paese è a rischio. Per questo ieri Putin ha mandato in prima linea il premier Michail Mishustin a illustrare un programma economico mirabolante: 700 miliardi di dollari che dovrebbe portare a una crescita economica entro il 2021 del 2,5%, la riduzione della disoccupazione sotto il 5%, e l’aumento dello commercio interno all’ingrosso del 3%.