Al telefono con il presidente russo, Vladimir Putin, il presidente del Consiglio, Mario Draghi ha ribadito i timori legati alla crisi in Ucraina e l’esigenza di misure che permettano di «ricostruire la fiducia». Dal canto suo Putin ha ricordato a Draghi le responsabilità del governo di Kiev, in particolare sugli accordi di Minsk, che reggono la tregua armata nel Donbass. Putin ha garantito, poi, la «disponibilità a mantenere stabili» le forniture di gas dirette all’Italia. Di questo passaggio si trova traccia soltanto nel resoconto del Cremlino, non in quello di Palazzo Chigi.

MA È CHIARO CHE il dossier energetico, in una fase di completa transizione dell’industria verso fonti rinnovabili, occupi oggi uno spazio centrale nei piani di tutti i governi europei. Per difendere le forniture russe il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, vedrà il 7 febbraio Joe Biden, che ha minacciato di fermare il gasdotto Nord Stream 2 prima ancora che riprendessero le tensioni con l’Ucraina. Per la stessa ragione ieri a Mosca è volato il premier ungherese, Viktor Orbán: sul tavolo contratti già firmati con scadenza nel 2036. «Dato che l’Europa è nel bel mezzo di una crisi del gas, direi che si tratta di un risultato importante», ha detto al termine del vertice. Putin ha usato più volte la forma familiare “tu” per rivolgersi a un ospite la cui posizione sulla Russia continua a rimanere ambigua. Orbán ha escluso la scorsa settimana l’arrivo di soldati americani in Ungheria. Ma sabato ha anche firmato, a Madrid, con il premier polacco, Mateusz Morawiecki, il leader di Vox, Santiago Abascal, e Marine Le Pen del Rassemblement National il documento dei sovranisti europei di denuncia contro le «azioni militari» della Russia, azioni, dice il testo, che «portano sull’orlo della guerra».

L’IMPRESSIONE È CHE oggi Putin non possa permettersi di rinunciare ad alcun interlocutore per raggiungere l’obiettivo al quale lavora da mesi, ovvero un nuovo accordo sulla sicurezza in Europa. «Gli Stati Uniti hanno ignorato le questioni fondamentali che avevamo sollevato», ha detto ieri parlando dello scambio di lettere con l’Amministrazione Biden. Il suo portavoce ha smentito la notizia circolata lunedì secondo cui la Russia avrebbe già risposto alla nota scritta degli americani. La trattativa, che riguarda il processo di adesione alla Nato dell’Ucraina e la presenza delle truppe americane in Europa, avanza, quindi, lentamente.

UNA CONFERMA INDIRETTA arriva dallo scambio telefonico avvenuto sempre ieri fra il segretario di stato, Antony Blinken, e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, nel corso del quale quest’ultimo avrebbe aperto a ulteriori trattative senza fornire, però, indicazioni sul ritiro delle truppe dal confine con l’Ucraina. «Spero che alla fine troveremo questa soluzione, anche se non sarà semplice», ha ripetuto Putin in serata.
Nelle trattive che riguardano la loro stessa esistenza, le autorità di Kiev continuano ad avere un ruolo marginale. In città è arrivato il premier britannico, Boris Johnson, che dopo avere offerto alla Nato armi, mezzi e uomini «contro la minaccia russa» ha definito l’ipotesi invasione «un disastro politico, militare e umanitario». Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha risposto che un confronto con la Russia «sarebbe una guerra europea a tutti gli effetti».

ZELENSKY È IMPEGNATO in questi giorni in una profonda revisione delle forze armate possibile grazie ai fondi promessi dalla comunità internazionale: nelle sue dichiarazioni pubbliche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha fatto più volte riferimento ad aiuti per migliorare le «capacità di autodifesa» dell’Ucraina. Oggi l’esercito conta 560.000 uomini fra personale in servizio e riservisti. Nei prossimi tre anni le truppe dovrebbero salire di centomila unità. Allo stesso tempo Zelensky intende abolire la leva obbligatoria dal 2024 per passare gradualmente a un esercito di professionisti. Per questo ha ordinato al governo di rivedere entro la fine del prossimo anno tutti i contratti del settore, compresi, quindi, quelli della guardia nazionale, il corpo sotto il comando del ministero dell’Interno in cui sono confluiti nel 2014 anche i battaglioni di volontari arruolati fra i movimenti ultranazionalisti.