Le province. Per quattro mesi i 5 Stelle ne hanno discusso con la Lega nella conferenza stato-città (governo, regioni, province e comuni). Convinti, anche loro, che la condizione in cui la riforma Delrio ha lasciato questi enti intermedi – responsabilità mantenute, se non aumentate, risorse tagliate e composizione non più affidata alle scelte degli elettori – non potesse durare. Poi Di Maio ha inaugurato la stagione della lite continua con l’alleato, la stagione elettorale. Da allora è guerra anche sulle province. Quotidiana. «Le province sono uno spreco inutile, chi le vuole ricostruire si trovi un altro alleato», dice adesso il capo politico dei 5 Stelle. Salvini non replica direttamente – «non ho tempo da perdere in polemiche» – ma scatena i suoi. Il sottosegretario leghista all’interno Candiani, titolare della delega, è molto duro con i 5 Stelle: «Cialtroni» e «poco informati».

Il dossier province, in realtà, è sempre stato all’attenzione dei 5 Stelle. Che con molte buone ragioni hanno attaccato la riforma Delrio che nel 2014 ha trasformato le province in enti di secondo livello, conservando però le funzioni: pianificazione del territorio, trasporti pubblici, edilizia scolastica, costruzione e gestione della rete stradale provinciale (grande quasi sette volte la rete statale delle autostrade ma finanziata con un decimo delle risorse). I grillini sono sempre stati a favore dell’abolizione delle province, sostenendo però che per abolirle sul serio bisognasse cancellarle dalla Costituzione. Non lo hanno sostenuto fino al punto di votare a favore della riforma costituzionale Renzi-Boschi, che prevedeva proprio quella cancellazione, insieme a tante altre discutibili cose. Ma quello che dice oggi la ministra della pubblica amministrazione Bongiorno, leghista, e cioè che «le province sono in una situazione ibrida, si è fatto finta di eliminarle ma non sono state eliminate. Bisogna uscire dall’equivoco e fare una scelta: ridare fiato alle province o eliminarle del tutto, le cose a metà non vanno bene» è quello che hanno detto tante volte i grillini. Due anni fa, per esempio, i deputati M5S hanno presentato una mozione nella quale si denunciava la «vera e propria violazione di principi ordinamentali e costituzionali, il limbo giuridico nel quale le province versano e i tagli subiti, in forza, anche, della previsione, evidentemente troppo azzardata, della loro soppressione».

E infatti «la cosiddetta legge Delrio ha soppresso, delle province, solo la modalità di elezione degli amministratori, mantenendo loro le funzioni originarie, anzi, incrementandole» come scrivevano ancora i 5 Stelle nel giugno 2017 e infatti le cosiddette funzioni «di area vasta» sono adesso affidate a organismi politici non più eletti direttamente dai cittadini. Gli organi delle province infatti non sono diminuiti, sono aumentati passando da due – presidente e consiglio provinciale – a tre. Ai primi, scelti adesso con un’elezione di secondo grado dai consiglieri comunali già eletti nei comuni del territorio, si è aggiunta l’assemblea dei sindaci della provincia. I costi totali sono diminuiti, quasi dimezzati, ma solo perché la gran parte del personale è stata trasferita alle regioni. Per il bilancio pubblico non c’è stato risparmio, con l’eccezione delle indennità dei circa 2.100 consiglieri che adesso, essendo scelti tra chi ha già un mandato elettorale, non raddoppiano lo stipendio.

Si tratta delle famose «poltrone» che Di Maio agita continuamente. «Non è aumentando le poltrone con altri 2.500 incarichi che si risolvono i problemi degli italiani», dice il capo grillino. Al tavolo, la Lega ha invece sostenuto la necessità di tornare all’elezione diretta a suffragio universale. Perché, dice il sottosegretario Candiani, «dobbiamo rimettere in funzione le province, esistono in Costituzione ma oggi sono incapaci di assolvere al loro compito istituzionale». «È inutile che pensiamo di farle tornare, noi alla province neanche ci candidiamo», risponde Di Maio. E per forza, le ultime elezioni dirette per le provinciali ci sono state nel 2011, ben due anni prima del «boom» nelle urne dei 5 Stelle. E a dirla tutta il Movimento si tiene lontano anche dalle comunali: alle prossime del 29 maggio ci sono liste grilline in appena 127 comuni su 3.856.