«Grazie, e pronta guarigione ai colleghi feriti». Così la polizia di Berlino dopo l’uccisione a Milano di Anis Amri, 23 anni, tunisino, sospetto terrorista della strage al mercatino di Charlottenburg, celebra la fine dell’incubo natalizio costato 12 morti e 48 feriti.

Ma il caso è tutt’altro che chiuso e l’allarme attentati per niente rientrato. Giovedì a Oberhausen nel Nordreno-Vestfalia (che si conferma tra i germinai della galassia salafita in Germania) la polizia ha arrestato due fratelli kosovari di 28 e 31 anni sospettati di compiere un attacco all’outlet Centro, immediatamente evacuato.

Su Telegram spunta il video-selfie del giuramento di Amri al califfo Isis Al Baghdadi, firmato con il nome di battaglia Abu Al Baraa Al Tunsi, girato dopo l’attentato sul ponte Kieler nel porto fluviale di Berlino. «Sono ancora vivo. Mi rivolgo ai crociati che bombardano ogni giorno i musulmani: vi sgozzeremo come maiali. Voglio morire da martire» minaccia Anis, prima di incitare al jihad in tutta Europa. Ed emerge – soprattutto – l’inquietante informativa degli 007 del Marocco che ben tre mesi fa avvertiva i servizi segreti tedeschi dell’imminente attacco.

In Germania scatta la caccia ai fiancheggiatori del tunisino, mentre il governo annuncia il giro di vite sull’immigrazione: «Se ci sono complici nella strage verranno assicurati alla giustizia. La democrazia è più forte del terrorismo ma dobbiamo riesaminare le politiche pubbliche che hanno bisogno di essere cambiate. La priorità è garantire la sicurezza dei cittadini» scandisce la cancelliera Angela Merkel.
«Dobbiamo capire se dietro alla fuga di Amri c’è stata una rete di supporto, e se l’arma che ha sparato a Milano è la stessa impiegata a Berlino» aggiunge il procuratore generale Peter Frank.

Eppure resta da comprendere, anzitutto, come Amri sia riuscito a varcare i confini con la Francia blindati dai posti di blocco. Perché l’Ufficio criminale del Nordreno-Vestfalia non ha preso sul serio la “soffiata” di un agente sotto copertura che già il 21 luglio rivelava il piano di Amri. Come mai il tunisino non era stato espulso nonostante il foglio di via, i precedenti penali, l’informativa della polizia italiana via Interpol, e gli avvertimenti al Bnd (i servizi esterni tedeschi) datati 19 settembre e 11 ottobre della Direction générale de la surveillance du territoire (Dgst), l’intelligence del Marocco. Ancora: per quale motivo non ha funzionato il «monitor» dei 500 soggetti pericolosi tenuti sott’occhio dal controspionaggio, tra cui proprio Amri. Domande tuttora inevase.

 

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Ieri Merkel ha telefonato a Beji Caid Essebsi, presidente della Tunisia. Oggetto della conversazione: la procedura di rimpatrio di Amri sospesa perché il giovane non aveva un passaporto valido, e l’implemento delle “deportazioni” cresciute (da 17 nel 2015 a 117 nel 2016) ma non abbastanza.

Egualmente insufficiente appare il controllo delle moschee sunnite “radicali”. Solo ieri sera il segretario agli interni del Land di Berlino Torsten Akmann ha preso in considerazione la possibilità di chiudere l’associazione Fussilet 33 che si sospetta possa aver appoggiato l’attentatore di Breitscheidplatz.

All’obitorio di Berlino si è conclusa l’identificazione dei 12 cadaveri (6 uomini e 6 donne) della strage. In attesa dei nomi è stata diffusa la lista delle nazionalità: 8 tedeschi, una ceca, un’israeliana (Dalia Elykim, 60 anni), un polacco (l’autista del Tir Lukasz Urban) oltre all’italiana Fabrizia Di Lorenzo, 31 anni, di Sulmona, il cui decesso è stato confermato mercoledì dal ministro degli esteri Angelino Alfano.

Tra i 45 feriti – la maggior parte ancora ricoverata nei tre ospedali universitari della Charité – un israeliano (Rami, marito di Dalia) oltre a cittadini di Spagna, Regno Unito, Ungheria, Finlandia e Libano. «Fra loro 14 risultano sempre in gravi condizioni» precisa Andreas Geisel, ministro dell’Interno della Città-Stato. Prima di puntare il dito contro le autorità del Nordreno-Vestfalia, «Non siamo certo noi a non essere stati sufficientemente attenti. A Berlino Amri non è mai stato registrato». Se non al Lageso (ufficio sociale) a luglio 2015 dopo il trasferimento dalla cittadina di Kleve sul confine olandese.

È lo scarico delle responsabilità nel caos della gestione (troppo) federale della sicurezza nella Bundesrepublik incardinata sull’autonomia locale. E si registrano anche stoccate della Polizei berlinese ai colleghi di Amburgo che si sarebbero attivati con ore di ritardo nella diffusione dell’identikit di Amri. Tra gli effetti collaterali dell’attentato (oltre alla crescita nei sondaggi dei populisti di Afd) si segnala il rinvio al 29 gennaio della puntata della popolare serie Tatort trasmessa da Ard: contiene la scena di un attentato islamista a Dortmund.