Il primo Maggio 2018 a Milano, a Bologna e in altre città, i«riders» delle piattaforme digitali che consegnano il cibo a domicilio manifesteranno nei cortei della festa dei lavoratori. I ciclo-fattorini ribelli contro lo sfruttamento del lavoro digitale, quello intermediato dagli algoritmi, hanno annunciato uno sciopero e una riappropriazione del tempo sottratto al cottimo 2.0 in cambio di pochi spiccioli. È un segnale potente: da noi, e nel resto del mondo, il motore invisibile della più grande accumulazione di profitti che la storia economica ricordi sta emergendo dal lato oscuro della rivoluzione digitale.

Le lotte dei lavoratori digitali hanno fatto i primi passi negli Stati Uniti, in Inghilterra, Belgio, Italia, Francia, Spagna, Cina. Nel work on demand, il lavoro a chiamata nei trasporti, nelle pulizie, nelle cure familiari, e nel crowdsourcing – ovvero il reclutamento dei lavoratori folla sui mercati digitali dove si vendono e acquistano micro-mansioni – la forza lavoro sta prova a mostrare la sua centralità nell’automazione. Dietro la logistica delle merci, dei servizi; dietro la macchina-che-si-guida-da-sola; dentro l’algoritmo che fluidifica i processi esistono legioni di donne e di uomini la cui forza lavoro è ibridata con le macchine. Senza questa cooperazione non esiste lavoro, né capitale. E tuttavia oggi parliamo dei lavoratori come appendici organiche degli algoritmi, non come la condizione che rende possibile la produzione dei dati.

Chi avrà occasione di incrociare i «rider» sappia che rappresentano i minatori che estraggono in Congo il Coltan, miscela di columbite e tantalite fondamentale per i nostri cellulari; i clickworkers che rendono intelligenti gli algoritmi; chi classifica e stocca i dati; gli autisti di Uber e gli operai che assemblano pezzi dei tablet; l’arcipelago della precarietà diffusa nella produzione e nella riproduzione del lavoro. A queste persone va riconosciuto lo status di lavoratori, ma anche un diritto di esistenza che si incarna in un reddito di base incondizionato e universale. Una misura necessaria per sganciare la nostra vita dalla contraddizione per cui il lavoro – prodotto dello sfruttamento – è allo stesso tempo l’ipotesi dell’emancipazione dallo stesso sfruttamento.

Prima viene la forza lavoro, poi il lavoro e l’impresa. Per noi la vita è un mezzo di se stessa, non lo strumento del Capitale