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«Prima l’aborto era un privilegio, ora in Argentina è un diritto»

«Prima l’aborto era un privilegio, ora in Argentina è un diritto»La gioia delle donne argentine, in piazza a Buenos Aires, dopo l'approvazione della legge sull'aborto – Ap

America latina Intervista alla più giovane senatora del paese, María Eugenia Catalfamo, dopo la legalizzazione dell'interruzione di gravidanza: «Serviva una legge che generasse uguaglianza: chi aveva maggiori possibilità economiche trovava forme sicure per abortire, le donne povere rischiavano la vita»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 16 gennaio 2021

María Eugenia Catalfamo è la senatora più giovane d’Argentina. Ha 33 anni e da tre anni rappresenta la provincia di San Luis. Era presente il 29 e 30 dicembre 2020, e ha votato a favore della legge sull’aborto. Fa parte del Frente de Todos, la coalizione che appoggia il presidente Alberto Fernandez. Qualche giorno dopo la storica giornata si è fatta intervistare.

Cosa ha significato per te il voto di fine anno?

Per me è stata una grande emozione, da diversi punti di vista. L’emozione più grande è stata partecipare a un momento storico, arrivato dopo anni di lotte, di movimenti e organizzazione femminista e delle tante realtà che via via hanno appoggiato la causa. La legge per l’aborto legale è una legge soprattutto a vantaggio della salute delle donne: rompe con il passato, quando le donne o erano obbligate a partorire o ad abortire illegalmente in centri clandestini, con tutti i rischi che questo implicava, anche la morte. Ho raccontato storie di donne che hanno sfidato la vita pur di non diventare madri. Era un debito che avevamo con tutta la società argentina da molti anni e ora siamo uno dei pochissimi paesi dell’America latina ad avere una legge sul tema.

Che relazione hai con i movimenti femministi?

Sono peronista. Non sono una militante femminista ma credo nel lavoro che il movimento di donne ha generato sia scrivendo la proposta di legge sia appoggiando il processo parlamentare, facendolo con tale forza che oggi si può pensare all’ampliamento dei diritti. Penso che questa legge si aggiunga alle altre importanti volute e spinte dai movimenti femministi come quelle per il matrimonio paritario, per l’identità di genere, per il divorzio ( molto più semplice di prima), leggi che hanno ampliato il quadro dei diritti. Oggi noi donne possiamo esercitare le professioni che vogliamo esercitare e siamo quelle che governano il proprio futuro senza dipendere dalla figura di un uomo. Penso che in questi ultimi anni nel nostro paese, in America latina e anche in diverse parti del mondo ci sia un percorso di ampliamento dei diritti su spinta dei movimenti femministi.

María Eugenia Catalfamo

Cos’è cambiato dal 2018 a oggi?

Nel 2018 quando questa proposta di legge arrivò al Senato si aveva una società, inclusa me, lo dico chiaramente, che non aveva capito fino in fondo l’importanza e il senso di questa legge. Anche perché la parola aborto in Argentina è sempre stata tabù. Il 2018 è servito a mettere il tema in un contesto più ampio di quello dei movimenti e di saldarlo alla logica dei diritti. In questi due anni il dibattito non solo ha raggiunto l’obiettivo di smettere di legare la parola aborto a un tabù o essere considerata una «cattiva parola» ma ha permesso di capire di cosa si stesse parlando e che, soprattutto, gli aborti ci sono sempre stati, ci sono e ci saranno. È stato allora chiaro che una cosa è l’aborto con uno Stato presente, altra con lo Stato assente. Migliaia di donne, oltre 3mila, sono morte dall’anno in cui abbiamo riavuto la democrazia, il 1983, a oggi, cercando di abortire.

Ha influito anche il cambio di governo?

Sì, certo. Il 10 dicembre 2019 è iniziato il governo peronista di Alberto Fernández. Il presidente aveva portato già in campagna elettorale la promessa di riportare la proposta di legge in discussione. Così con quella forza e con la forza del dibattito sviluppatosi negli ultimi due anni si è riusciti a farla passare già a cavallo della fine del primo anno di governo.

Pensi che il voto argentino possa generare una reazione a catena nel continente?

Speriamo di sì. Quando nel 2012 in Uruguay è passata la legge di depenalizzazione dell’aborto abbiamo visto che i casi di aborto non solo diminuivano ma diminuivano anche e soprattutto le morti. È cresciuto il dibattito secondo cui serviva una legge che generasse condizioni di uguaglianza. Negli anni ci siamo accorti sempre più che chi aveva maggiori possibilità economiche, di accesso allo studio, appoggio familiare, amicale e psicologico trovava forme per abortire in maniera più sicura dal punto di vista sanitario. Mentre chi non aveva questi vantaggi andava incontro a situazioni molto più rischiose. Per noi la legge serve a garantire un accesso degno e paritario a tutte.

Non pensi che papa Francesco possa cambiare postura nei confronti dell’Argentina?

Penso che quando il nostro presidente ha iniziato la negoziazione con l’Fmi per un pagamento possibile dei debiti che si sono gonfiati a dismisura con il precedente governo Macrì, ha cercato una serie di leader mondiali, di diversa estrazione, che sostenessero le ragioni del paese. Tra questi anche papa Francesco. Ora il nostro rapporto è buono sia con l’Fmi che con gli altri paesi inseriti nella vicenda. Anche per questo penso che la votazione della legge per l’aborto non porterà Bergoglio a cambiare la sua posizione nei confronti dell’Argentina e del debito.

Com’è la situazione pandemica?

Il giorno stesso del voto in Senato per l’aborto abbiamo iniziato la campagna vaccinale. Per ora siamo concentrati su questo. Il personale medico-sanitario sarà il primo a essere vaccinato. Per il resto continuiamo a studiare misure di contenimento e di cura, con una stretta relazione tra i livelli differente di governo, dal locale al nazionale. Uno dei grandi lavori che si sta svolgendo è quello di stimolare l’uso di mascherine, del distanziamento e dell’igiene personale. Ma allo stesso tempo stiamo cercando di non chiudere nuovamente tutto.

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