La guerra in Ucraina ha sottratto risorse e attenzione al Medio Oriente. Il Libano è balzato dalle cronache internazionali sulla thaura, la rivolta dell’ottobre 2019, l’esplosione al porto di Beirut il 4 agosto 2020 e la crisi economica più profonda della sua storia, all’oblio. Beffa oltre il danno per un paese in caduta libera da quasi tre anni, che mai come ora avrebbe bisogno della pressione internazionale affinché il governo dia segni di vita.

L’ATTESA APPROVAZIONE della legge di bilancio sarebbe uno di quelli: il governo Mikati è ormai in carica da un anno. Il Fondo monetario internazionale ad aprile ha approvato un accordo di tre miliardi di dollari in 46 mesi per riformare il sistema bancario, ma al momento niente ancora di concreto.

Le politiche del 15 maggio, che hanno visto qualche leggero cambiamento soprattutto nella rappresentanza cristiana che esprime il presidente della repubblica, neanche hanno sbloccato una situazione che ormai ha perso ogni aspetto emergenziale per diventare cronica.

Ma andiamo con ordine: le crisi nella crisi sono molteplici e le principali sono quelle della benzina, dell’energia e del grano. La quasi totale dipendenza dall’estero dell’economia libanese per risorse primarie e secondarie assieme a un’impostazione neoliberista che ha privatizzato sanità, educazione e quasi tutti i servizi sociali, privilegiando dalla fine della guerra civile (1975-’90) a oggi il terziario, fa in modo che a oggi il Libano sia completamente alla mercé dei mercati e soprattutto dei pochi gruppi/famiglie che hanno il monopolio delle importazioni.

IL PREZZO DEL PETROLIO è ai massimi storici: i trasporti sono su gomma e l’elettricità pubblica e privata (la partecipata Edl, Elettricità del Libano, non riesce a soddisfare il fabbisogno e quindi un sistema capillare privato, detto «la mafia dei generatori», produce e vende energia nelle varie aree) è prodotta interamente a diesel. Oltre ai prezzi proibitivi e nonostante i generatori, le ore di assenza totale di energia sono in media 12-14 ore al giorno.

Il grano: il Libano importa oltre il 60% del fabbisogno da Russia e Ucraina, come quasi tutto l’olio di semi. L’esplosione al porto ha distrutto proprio i più grandi silos del paese, anche un minimo stoccaggio è oggi impossibile.

La crisi del pane può scoppiare in maniera devastante da un momento all’altro e già adesso la produzione è diminuita e i prezzi sono alle stelle. La lira libanese è agganciata dal 1997 al dollaro a un tasso fisso di 1.507 lire, che tale rimane ancora oggi formalmente, ma dalla fine del 2019 ha subito una svalutazione nei fatti: al mercato nero un dollaro viene scambiato per 30mila circa.

L’INTERA ECONOMIA, dopo un paio d’anni di incertezza e speculazione, è al momento totalmente dollarizzata, motivo per cui le categorie che vengono ancora pagate in lire, specie il settore pubblico (o privato che offre servizi pubblici come sanità e scuola), sono state e continuano a essere quelle su cui la crisi ha avuto un impatto maggiore. Dal primo luglio anche le tariffe telefoniche non sono più calcolate in lire, ma in dollari. In tal senso vanno intesi gli scioperi dei giorni scorsi.

«A livello personale capisco tutto ciò che gli impiegati fanno e perché scioperano. Ma scioperare non risolverà proprio niente. Lo sciopero non avrà risultati, se non quello di lasciar sfogare agli impiegati la loro frustrazione».

Così il ministro ad interim della cultura Mohamad Wissam Mortada sugli scioperi dei giorni scorsi della pubblica amministrazione, una delle categorie maggiormente colpite dalla crisi economica più feroce della storia del Libano. La settimana scorsa gli agenti di terra dell’aeroporto di Beirut hanno annunciato che non faranno più i turni notturni dal primo agosto.

AL COLLASSO anche le prigioni per il sovraffollamento e per la lentezza dell’intera macchina amministrativa. Non si trovano psicologi che vogliano andare nelle carceri, perché pagati appena due dollari l’ora.

Tragico che rasenta il ridicolo, non si possono rinnovare i passaporti, per cui i libanesi pagano l’equivalente di oltre 100 dollari e su cui lo Stato guadagna: mancano materialmente i libretti da stampare, segno di un degrado e di una disorganizzazione nella cosa pubblica che è specchio di un sistema clientelare e corrotto completamente inefficiente. Gli uffici pubblici hanno letteralmente finito carta e inchiostro.

E a sud continua il braccio di ferro con Israele sulla questione del confine marittimo sul quale i due Stati non concordano e che definirebbe l’accesso ai giacimenti di gas a largo delle coste. La tensione tra Hezbollah e Israele dei giorni scorsi sembra essersi allentata, ma serve da promemoria: un’escalation è possibile da un momento all’altro. La povertà è a cifre impensabili qualche anno fa, ma il dato più inquietante è l’immobilità politica nella quale la tragedia si consuma.