Lo scorso 25 gennaio il presidente Muhammadu Buhari ha sospeso Walter Onnoghen, presidente della Corte suprema della Nigeria, perché indagato per corruzione – in particolare per non avere dichiarato numerosi conti bancari esteri – e ha nominato al suo posto un giudice originario del nord come lui, di etnia Fulani.

Un tempismo sospetto che ha suscitato preoccupazione e critiche sia in Nigeria che all’estero nei confronti di Buhari, candidato per un secondo mandato alle prossime elezioni presidenziali del 16 febbraio.

«IL MOMENTO SCELTO per questa misura, a ridosso delle presidenziali, rischia di condizionare la percezione nazionale e internazionale relativa alla credibilità delle future elezioni», recita un comunicato congiunto dell’Ue, degli Usa e del Regno unito. La principale critica che gli viene rivolta è quella di aver violato la Costituzione e di «tentare di manipolare l’apparato giudiziario nazionale» a suo favore. La Costituzione prevede, infatti, che il presidente non possa destituire nessun alto magistrato del paese, senza l’approvazione dei 2/3 dei senatori, cosa non avvenuta.

Tutti i principali organismi internazionali di tutela dei diritti hanno manifestato subito le loro preoccupazioni riguardo al fatto che proprio la Corte suprema debba essere «garante e controllore delle prossime elezioni presidenziali». In un’audizione straordinaria del senato, lo scorso 29 gennaio, il portavoce del presidente Buhari, Garba Shehu, ha smentito le accuse dichiarando che «il Presidente della Corte suprema interviene solo in caso di reclami elettorali, possibilità molto remota per le prossime elezioni».

SHEHU HA POI ACCUSATO L’UE, gli Usa e il Regno Unito – paesi che invieranno osservatori per le elezioni – di «ingerenze negli affari interni della Nigeria». In un comunicato ufficiale lo stesso Buhari, candidato con il partito di maggioranza All Progressives Congress (Apc), ha detto di «essere determinato ad assicurare elezioni imparziali e libere» non tollerando, però, ingerenze straniere negli affari interni del paese.

IL SUO PRINCIPALE RIVALE, Atiku Abubakar del Partito democratico popolare (Pdp), ha interrotto la campagna elettorale per 72 ore in segno di protesta contro la sospensione di Onnoghen, definita «un atto degno di una dittatura militare e antidemocratica», riferendosi al passato di generale di Buhari.

DICHIARAZIONI SIMILI anche da parte dell’Ordine degli avvocati nigeriani che ha denunciato «un tentativo di colpo di stato contro la magistratura». Il quotidiano indipendente Punch ha espresso preoccupazione per una possibile «crisi costituzionale che potrebbe compromettere 20 anni di democrazia», dopo i regimi militari degli anni novanta.

«ANNUNCIO IL MIO RITIRO dalla corsa alle presidenziali» – ha dichiarato, ad esempio, la scorsa settimana Oby Ezekwezili, ex ministro dell’Educazione e principale donna candidata alle elezioni – «perché non ci sono le condizioni per poter contrastare l’egemonia dei due principali partiti e non esiste ancora alcuna tutela per un regolare svolgimento delle elezioni, contro i tentativi di frode e corruzione».

A quasi due settimane dal voto – con il probabile testa a testa tra i due leader dei principali partiti Apc e Pdp – le presidenziali vedranno più 80 milioni di nigeriani, registrati per il voto, con oltre 70 candidati (dati della Commissione elettorale indipendente) e si preannunciano già molto contestate e accese, retaggio delle precedenti elezioni che portarono a violenti scontri e decine di morti inn seguito alle denunce di brogli.