Perché ancora questa incertezza quasi alla vigilia del voto del primo turno delle presidenziali? Anche se c’è una costanza nei sondaggi, che danno da tempo in testa Emmanuel Macron (candidato En Marche!, centro) e Marine Le Pen (Fronte nazionale, estrema destra), la forte percentuale di indecisi e di possibile astensione (che è però in calo all’avvicinarsi della scadenza elettorale) lasciano molto margine, che apre la possibilità di sei combinazioni possibili tra i 4 candidati che si piazzano, nelle intenzioni di voto, in un arco che va dal 19% al 23%. A rendere ancora più confusa la situazione sono stati gli scossoni degli “scandali”, che hanno investito il candidato républicain (neo-gollista), François Fillon, e, in misura minore (almeno come effetto sull’elettorato), Marine Le Pen.

DOMINIQUE REYNIÉ, direttore della Fondation pour l’innovation politique, professore a Sciences Po (e per un breve momento uomo politico, nel 2015 è stato candidato alle regionali per il centro-destra) vede in questa situazione «l’inizio di uno sconvolgimento del panorama politico».

A SINISTRA, un quinto dell’elettorato aderisce al programma di Jean-Luc Mélenchon (France Insoumise), che segna il prevalere di un progetto anti-sistema, di cambiamento radicale più che di governo, obiettivo su cui dal 1971 si era costruita la maggiore forza di questo schieramento, il Ps. Circa un quarto dell’elettorato dichiara di essere pronto a scegliere Emmanuel Macron, un candidato “nuovo”, che si pone al centro, con voti che provengono da sinistra e da destra. Ma «il centro può governare con il sistema istituzionale attuale, che si basa sull’opposizione» destra-sinistra? Reynié sottolinea che in Francia non c’è la «cultura del compromesso». L’irruzione di Macron rende impossibile una vittoria sia della sinistra che della destra. Per questo siamo di fronte a «un’elezione inedita», con la «spettacolare possibilità» che al secondo turno non sia rappresentato nessuno dei due partiti tradizionali, i neo-gollisti (oggi Républicains) e il Ps.

UNA DESTRUTTURAZIONE che, secondo Reynié, è iniziata anni fa, nel 1998, con il 14,4% di Jean-Marie Le Pen alle presidenziali. Poi il tripartitismo (Ps-neogollisti-Fronte nazionale) si conferma nel 2002, con il 21 aprile e l’esclusione di Lionel Jospin (Ps) al ballottaggio (Chirac-Le Pen). Nel 2012, Marine Le Pen, pur non arrivando al ballottaggio, stabilisce un record di voti per l’estrema destra. Il referendum del 2005 sul Trattato costituzionale europeo, con la vittoria del No al 55%, resta il segnale principale della decostruzione del sistema politico tradizionale, con i partiti di governo tutti schierati per il Sì e sconfitti.

Dal 1965 al 2012, la media del peso elettorale della destra in Francia è stata del 57,9%. Oggi, nei sondaggi questa parte politica è al 48%. Ma conferma il peso tradizionale, se si aggiunge un 10% del voto per Macron. In questo stesso periodo la sinistra ha ottenuto una media del 39,9% al primo turno delle presidenziali. Oggi, la sinistra sarebbe al 42% (calcolando nel 23% delle intenzioni di voto per Macron, un 13% di “sinistra”), in ripresa di due punti rispetto alla media degli anni 1965-2012 e addirittura di 3,5 punti rispetto al miglior risultato ottenuto in un’elezione (primo turno regionali 2015) durante la presidenza del socialista François Hollande.

TUTTI I PRINCIPALI candidati hanno navigato sul tema dell’“anti-sistema”, per andare incontro agli elettori, sfiduciati e sempre più in posizione di sfida rispetto alla “casta” politica. Un’attitudine che sfiora il ridicolo: Fillon antisistema, che è deputato dall’81 ed è stato primo ministro di Sarkozy? L’ex banchiere ed ex ministro dell’Economia Macron? Marine Le Pen, a cui giustamente il candidato Npa Philippe Poutou ha ricordato che si protegge dietro l’immunità parlamentare (europea) per non andare alla convocazione di polizia e giudici, mentre non esiste «l’immunità operaia»? Lo stesso Mélenchon è stato a lungo senatore Ps, socialista per 32 anni prima di fondare il Parti de Gauche nel 2009.

SOLO MACRON è chiaramente pro Unione europea. Fillon, che aveva votato No al referendum su Maastricht nel 1992, propone l’Europa «delle nazioni». Le Pen e Mélenchon hanno avanzato l’ipotesi di un’uscita dall’euro e dalla Ue. Ma all’avvicinarsi del voto hanno fatto passi indietro, nella speranza di allargare l’elettorato. Mélenchon adesso insiste sul “piano A” (rinegoziare i trattati per mettere fine all’austerità) e al Fronte nazionale «basta guardare Florian Philippot (il vice-presidente, ndr), che è come il cucù dell’orologio – dice Reynié – quando esce vuol dire che il partito è per uscire dall’euro, quando non c’è significa che il Fn è per mantenere la moneta unica»: in questi ultimi giorni di campagna Philippot è nell’ombra.

L’EURO è una questione importante, insiste Reynié, in un paese dove il 57% della popolazione è proprietaria della casa e dove ci sono 4mila miliardi di patrimonio: i due terzi dei francesi non vogliono abbandonare la moneta europea.