Dopo un impegno di quasi 10 anni e un bilancio di 180 caschi blu uccisi dai gruppi jihadisti presenti nel paese, la missione delle Nazioni unite “Minusma” ha definitivamente abbandonato il nord del Mali. Lo scorso martedì il contingente Onu ha frettolosamente lasciato la sua ultima base a Kidal – dopo quelle di Timbuktu, Aguelhoc e Tessalit -, passata sotto il controllo delle forze separatiste tuareg dell’Azawad, riunite all’interno del Quadro strategico permanente (Csp).

Un ritiro reso ancora più «rischioso» – secondo quanto dichiarato all’agenzia Afp da Fati Kaba, portavoce di Minusma – per la «mancata autorizzazione» da parte di Bamako di ottenere pezzi di ricambio per un aereo cargo Onu e far rientrare i soldati con un volo verso Ndjamena. Nel tragitto tra Kidal e Gao il convoglio – ancora fermo ieri in direzione Bamako – ha avuto quattro blindati colpiti da mine e 5 militari feriti gravemente.

DOPO LA RICHIESTA FORMALE di ritiro della missione da parte della giunta militare – per «ingerenze negli affari interni del paese» – un primo accordo aveva sancito il passaggio delle basi alle Forze armate maliane (Fama). Intesa non rispettata dai caschi blu che hanno deciso di anticipare il ritiro previsto per fine dicembre per «le difficili condizioni di sicurezza dei militari presi in mezzo al conflitto tra esercito, tuareg e miliziani jihadisti».

Recentemente, il primo ministro maliano, Choguel Maïga, ha confermato che Bamako è determinata «a riprendere il controllo di tutto il territorio nazionale». La “riconquista” è partita a inizio ottobre con l’invio di circa 100 blindati via terra, fino alla località di Anéfis (100 km da Kidal), e con l’atterraggio di due aerei cargo russi all’aeroporto della vicina Tessalit. Entrambi i convogli secondo le forze ribelli tuareg hanno visto il coinvolgimento di «oltre 300 paramilitari russi della Wagner», cosa che ha gettato nel panico la popolazione, memore delle violenze subite dai civili nell’ultimo anno, con 40mila profughi scappati in Algeria.

SECONDO UN RECENTE REPORT di Human Rights Watch, dallo scorso aprile più di «160 persone sono state uccise dai gruppi jihadisti presenti nell’area: il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), affiliato ad al-Qaeda, e lo Stato islamico nel Sahel, aderente all’Isis. L’inchiesta non risparmia «le Fama e gli ausiliari russi» colpevoli di «omicidi e saccheggi a Tabakoro, Gadougou, Sambani, Ersane». In quest’ultimo villaggio, i resoconti tuareg accusano i “wagneriani” di aver «torturato e decapitato 17 civili inermi» lo scorso 10 ottobre.

Hrw ora è preoccupata per la sorte degli abitanti dei villaggi del nord e di Kidal, considerata l’ultima roccaforte dei tuareg. «Nelle città controllate dai movimenti (Azawad, ndr) la sicurezza dei civili è garantita – ha detto a France24 il portavoce del Csp, Mohamed Elmaouloud Ramadane -. Siamo comunque pronti a difendere le nostre terre».

IERI MATTINA L’ESERCITO maliano ha effettuato 3 attacchi con droni contro Kidal, causando «10 morti, di cui 4 bambini, e 20 feriti tra i civili» secondo quanto riporta Radio France International (Rfi). Quello che risulta difficile – secondo i media locali, convinti di un imminente attacco governativo – è indicare il numero delle vittime dei combattimenti di queste settimane a causa del completo blocco mediatico di tutta l’area, considerata da Bamako «zona di guerra».