Al secondo piano di Palazzo Carpegna, dove ha sede la Commissione Affari costituzionali del Senato, i giornalisti che hanno seguito il vertice di maggioranza sul premierato hanno potuto udire voci alte e concitate, che fuoriuscivano al di là della pesante porta di legno massiccio dell’ufficio del presidente della Commissione, Alberto Balboni, che è anche relatore alla riforma. Certamente la ministra Casellati, paziente e amabile in pubblico, è notoriamente determinata quando in contesti ristretti difende le proprie posizioni, e nello specifico non è disposta a fare l’agnello sacrificale di fronte alle critiche piovute dagli alleati sul suo ddl. Casellati ha fatto una mediazione incaricata dalla premier Meloni all’insegna del «vai avanti tu che a me vien da ridere»; ora che il partito di Meloni spara a palle incatenate sul testo, e in particolare sulla norma riguardante il «premier di riserva» voluta da Lega e Fi, lei non è disposta a fare da sola la figuraccia davanti ai giuristi di area, o al sarcasmo di Marcello Pera.

Fatte tali premesse, dovendo sintetizzare l’esito del vertice di maggioranza convocato in vista del termine per presentare gli emendamenti, il 5 febbraio, si possono fare due affermazioni, una politica e una sul merito. Sul piano politico, chi si illude che la maggioranza si spacchi sul premierato sbaglia: l’approvazione dell’Autonomia differenziata, in Senato, comporta che la maggioranza vada avanti anche sul ddl Casellati, anche perché c’è accordo nel mantenimento di due punti fermi e con essi entriamo sul piano del merito. I due punti del ddl Casellati intoccabili sono l’elezione diretta del premier e – anche se incoerente con il primo punto – la fiducia che il Parlamento voterà al governo nel suo complesso e non al premier. E qui occorre una spiegazione politica: la riforma ormai non viaggia più su un piano istituzionale, vale a dire quello di dare al governo una maggiore stabilità, ma si muove nella logica della coalizione di centrodestra. La fiducia al proprio governo, che il premier eletto dovrà chiedere al Parlamento, comporta un grande potere contrattuale per gli altri partiti della coalizione.

Oggi – si è detto alla riunione, ma è il ragionamento fatto a più alti livelli in altre sedi nei giorni precedenti, per esempio dal ministro Calderoli – è Fdi ad avere la leadership all’interno della coalizione ed esprimerebbe lui con Giorgia Meloni il premier eletto direttamente dal popolo; ma tra qualche anno, quando il consenso di Meloni calerà, potrà essere un altro partito, magari la Lega con Zaia o Fedriga, oppure Fi con Letizia Moratti, ad avere la leadership della coalizione e ad esprimere il premier. Quindi una norma che non consegna tutto il potere nelle mani del premier eletto ma lo distribuisce tra tutti i partiti della coalizione, alla fine garantisce tutto il centrodestra.

Posti questi due punti fermi, sul resto siamo ancora in alto mare, anche per ciò che riguarda gli stessi due punti fermi: e infatti la maggioranza tornerà a riunirsi oggi pomeriggio. «Il confronto sulla Costituzione non è certo una cosa che si può liquidare in mezzora», ha detto la ministra Casellati al termine del vertice di ieri. Casellati ha ammesso che ci sono dei «nodi» ma non sarebbero «complessi»: «Si tratta adesso di poterli scrivere tutti assieme. Un conto è elaborare un concetto e un conto è metterlo a terra. Quando si scrive sulla Costituzione bisogna farlo in maniera tecnicamente ineccepibile».

Per quanto riguarda i nodi, vanno annoverati i poteri del premier (più chiedere la sostituzione dei ministri al Presidente della Repubblica, oltre a proporne i nomi per la nomina), la norma sul «premier di riserva» (subentra in caso di morte o impedimento permanente del premier eletto, o anche in caso di dimissioni non dovute a sfiducia?), la soglia per ottenere il premio di maggioranza (Casellati ha proposto il 40%), il limite dei due mandati per il premier eletto (la Lega ora è contraria per poter sostenere il terzo mandato per i governatori). Ma nodi più grandi riguardano la legge elettorale che dovrà attuare la riforma costituzionale, di cui si è accennato nella riunione di ieri, e che dovrebbero essere ripresi oggi. Probabilmente i giornalisti sentiranno di nuovo toni alti e concitati oltre la porta.