I cronisti che in Senato hanno seguito il nuovo incontro sul premierato dei capigruppo di maggioranza, hanno raccontato di non essersi dovuti accostare alla porta della Commissione Affari costituzionale per origliare quanto accadeva. Il tono alto e concitato della voce del capogruppo della Lega Massimiliano Romeo era tale da indurre i giornalisti a sospettare che lo abbia fatto apposta per farsi sentire da loro. Al termine della riunione, infatti – sempre nel racconto dei presenti – Romeo, ridacchiando, è sgattaiolato via lasciando l’onere di una dichiarazione ufficiale al presidente della Commissione, e relatore al premierato, Alberto Balboni. Parla lui per tutti, ha detto Romeo.

«Abbiamo raggiunto un accordo all’unanimità», ha esordito Balboni, salvo poi precisare l’oggetto dell’intesa: quella di «sottoporre ai leader la nostra proposta». La ministra Maria Elisabetta Casellati ha parlato di una «bozza» di proposta, mentre il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani è stato ancora più minimalista: serve la «validazione» dei leader prima di parlare di accordo e trasformarlo in emendamenti. Qual è dunque l’oggetto del contendere che ha indotto Romeo a mettersi di traverso e a parlare a voce alta, nonostante Maurizio Gasparri e Lucio Malan gli chiedessero di abbassare il volume?

Dentro il partito di Meloni il timore/sospetto è che l’alzata di scudi della Lega su un paio di punti del premierato dipenda più dalla volontà di Matteo Salvini in questa fase di fare il controcanto alla premier su tutto. Questa lettura ha messo in agitazione Fdi anche per un altro aspetto: il termine per gli emendamenti è fissato a lunedì prossimo alle 12, il tempo per un vertice di maggioranza è poco, visti anche gli impegni di Meloni (sabato a Catania, domenica in partenza per il Giappone). Se Salvini dovesse tergiversare per il suo sì, o anche dovesse far slittare il vertice, la stessa sorte toccherebbe al termine per gli emendamenti, che Balboni dovrebbe spostare più in là, per la terza volta. Niente di drammatico, ma una macchia nell’immagina della premier, che rimarrebbe molto seccata.

Su cosa dunque Romeo ha fatto ballare i colleghi del centrodestra? In poche parole i poteri del premier eletto rispetto ai partiti della sua coalizione. Casellati, su mandato dei capigruppo ricevuto mercoledì, si è presentata ieri con una bozza, su cui Romeo ha esclamato «era meglio la versione originaria» del ddl Casellati. In questo il ddl eletto dal popolo deve comunque ricevere la fiducia al suo governo, il che implica il potere di contrattazione dei partiti nella formazione dell’esecutivo. Nella nuova bozza il premier può essere sostituito da un esponente della sua coalizione in caso di «impedimento permanente, morte, decadenza o dimissioni volontaria», vale a dire in caso di crisi della popolarità del Presidente del Consiglio ma non della maggioranza che vuole proseguire la legislatura.

Quello che non va alla Lega è l’aumentato potere del premier eletto di cadere in Parlamento «mediante mozione motivata» di sfiducia. In questo caso egli «entro sette giorni rassegna le dimissioni, ovvero propone lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica che emana il conseguente decreto». Questo «emana» non è piaciuto, vale a dire l’automatismo tra la richiesta del premier e il successivo atto del Capo dello Stato. Insomma, l’equilibrio tra premier eletto e la coalizione si sbilancia troppo a favore del primo. E non importa se sulla carta la riforma si giustifica proprio per far durare il Presidente del Consiglio per tutta la legislatura. Anche perché sono tali le incoerenze di sistema dell’elezione diretta del premier, che una in più o in meno cambia poco.

Tra le incoerenze vi è quella che riguarda i poteri di scioglimento delle Camere del Presidente della Repubblica. L’articolo 88 della Costituzione, sul semestre bianco, che non veniva toccato dal ddl Caselalti, avrebbe potuto mandare in tilt l’arzigogolato meccanismo della riforma. Questo articolo impedisce al Capo dello Stato di sciogliere le Camere durante gli ultimi sei mesi del suo mandato, tranne in caso di fine legislatura. Quindi se in questi sei mesi accadesse uno degli eventi, sia del ddl Casellati che della nuova bozza, che portano allo scioglimento automatico anticipato delle Camere, si arriverebbe a un impasse istituzionale. Gli uffici della ministra Casellati se ne sono accorti ora, inserendo nella bozza anche la possibilità di tale tipo di scioglimento durante il semestre bianco.