«Vendetta?», ha chiesto su Twitter Oscar Camps, fondatore della Ong Open Arms. Poche ore prima, nella giornata di sabato scorso, l’organizzazione era stata protagonista di due eventi andati in scena a 100 chilometri di distanza. Nel primo pomeriggio a Palermo l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini è stato rinviato a giudizio per rifiuto d’atti d’ufficio e sequestro di persona per aver bloccato, nell’agosto 2019, la Open Arms fuori dal porto siciliano con 147 persone a bordo. In serata a Pozzallo la stessa nave ha ricevuto un fermo amministrativo dopo un controllo che l’Ong ha definito «severissimo». L’ispezione è arrivata al termine di una quarantena imposta all’equipaggio nonostante nessuna delle 219 soccorse nell’ultima missione fosse risultata positiva al Covid-19 ed è durata, tra venerdì e sabato, ben 17 ore. Il Port state control (Psc), questo il nome tecnico, è stato condotto da due ufficiali della Guardia costiera giunti apposta sull’isola.

GIÀ A OTTOBRE 2020 il manifesto aveva rivelato che i nomi degli ispettori che realizzano questo tipo di controlli sulle navi umanitarie coincidevano anche in porti diversi e a volte molto distanti tra loro. Una pratica inusuale perché fino a poco tempo prima il compito ricadeva sulle capitanerie dei porti di sbarco. A marzo, dopo l’analogo fermo amministrativo della Sea-Watch 3, la Guardia costiera ha confermato a questo giornale attraverso il ministero delle Infrastrutture l’esistenza di un «team di ispettori specializzati che sono inviati presso i porti ove approdano le navi Ong quando vi sia necessità di effettuare un’ispezione».

«Il memorandum di Parigi usato dalla Guardia costiera per ispezionare le navi umanitarie nasce per evitare che circolino imbarcazioni al di sotto degli standard di sicurezza. Il problema è che c’è la volontà di inseguire le navi delle Ong ogni volta che entrano nei porti italiani anche se dal punto di vista tecnico sono a basso rischio», ha spiegato l’ammiraglio della Guardia costiera in congedo Vittorio Alessandro, intervistato su Radio Radicale da Sergio Scandura.

ANALOGHI CONTROLLI, infatti, hanno portato ai fermi amministrativi delle navi battenti bandiera tedesca Sea-Watch 3 (due volte), Alan Kurdi (due volte) e Sea-Watch 4 (una volta). In quei casi le autorità italiane hanno realizzato ispezioni «straordinarie» considerando i soccorsi in mare come un «fattore inatteso», elemento che può interrompere la cadenza regolare dei Psc prevista dal memorandum. Secondo l’interpretazione della Guardia costiera, sulla cui legittimità si deve pronunciare la Corte di giustizia Ue, per salvare le persone in maniera «sistematica» servono delle certificazioni particolari, che però non esistono né nell’ordinamento tedesco, né in quello italiano. E dunque le navi citate ne sono sprovviste.

Open Arms, invece, ha ottenuto queste autorizzazioni dal suo stato di bandiera, la Spagna, e perciò non è stata ispezionata dopo le ultime missioni. Il Psc dello scorso fine settimana sarebbe dunque di natura «ordinaria» (quello precedente era stato sempre a Pozzallo il 6 febbraio 2020, ma non aveva portato alla detenzione). Il condizionale è d’obbligo sia perché la Guardia costiera non ha diramato il comunicato di rito, sia perché i profili di rischio di navi come la Open Arms prevedono in genere intervalli di tempo superiori. «Stiamo cercando di capire se ci toccava da calendario, ma ci sembra strano», afferma Riccardo Gatti, direttore di Open Arms Italia.

A COGLIERE la palla al balzo ci ha pensato Salvini che domenica ha dichiarato: «Da ieri Open Arms è sotto sequestro nel porto di Pozzallo a causa di numerose irregolarità scoperte dalla Guardia costiera. Ma a processo ci vado io… Avanti a testa alta, il tempo è galantuomo».