L’Ucraina esulta e aspetta di ricevere i primi fondi stanziati dai Paesi dell’Ue. Dopo la decisione di ieri che ha ratificato all’unanimità lo stanziamento di 50 miliardi di euro di fondi strutturali per Kiev, la ministra dell’economia ucraina ha dichiarato: «Ci aspettiamo di ricevere il primo pagamento di 4,5 miliardi di euro già a marzo».

SAPPIAMO che il governo ucraino «sta attualmente lavorando ad un accordo corrispondente sul finanziamento insieme ai partner europei» per far sì che le condizioni necessarie all’incasso del finanziamento siano messe in atto. Non si tratta di fretta ma di estrema necessità. Il governo di Volodymyr Zelensky ha bisogno di soldi subito per mandare avanti lo Stato. Dagli stipendi dei militari al fronte al personale amministrativo nelle città, fino alle forniture energetiche e alimentari dall’estero, tutto il sistema rischiava di collassare. Ora alla Verkhovna Rada possono tirare un piccolo sospiro di sollievo, il default torna a essere solo un rischio. Secondo il Kiel Institute for the World Economy la guerra contro la Russia costa 10 miliardi di dollari al mese. La spesa pubblica ucraina per pagare la pubblica amministrazione, per tenere aperti scuole e ospedali, per far funzionare i trasporti, solo nel 2022 è stata di 75 miliardi: i prestiti occidentali ne hanno coperti 32. Lo stesso centro studi stima che fino alla fine del 2023 l’Ue aveva inviato in Ucraina 85 miliardi di dollari divisi tra attrezzature tecniche e militari (25 mld) e finanziamenti generali. Usa e Gran Bretagna hanno inviato rispettivamente 47 miliardi e 18 miliardi solo di forniture militari. La Banca mondiale ha calcolato che i Paesi occidentali hanno invitato, in totale, 17 miliardi al mese al governo di Kiev.

Si tratta di cifre altissime, è evidente. Ma l’invasione russa ha mandato in fumo circa 200 miliardi complessivi tra produzione locale e investitori stranieri. Senza contare che l’esercito russo controlla la centrale atomica di Zaporizhzhia, parte delle miniere del Donbass occupato e l’importante porto di Mariupol. La questione del commercio navale è dirimente: con Odessa e Mykolayiv bombardate e il Mar Nero controllato (con varie perdite) dalla marina russa, il commercio ucraino ha subito un colpo quasi letale. Da Odessa partivano migliaia di tonnellate di grano verso tutto il mondo, nelle infrastrutture portuali della città si custodiscono migliaia di ettolitri di idrocarburi e tonnellate di cereali. Un indotto che dava da mangiare a migliaia di famiglie è stato cancellato e le dogane hanno perso milioni di dollari di imposte. A Mykolayiv si costruivano e riparavano le grandi navi destinate alle rotte internazionali, ora i cantieri navali sono praticamente in disuso, esposti alla ruggine e ai bombardamenti russi.

I FONDI Ue interrompono una striscia negativa che durava da mesi, almeno dalla fine dell’estate scorsa. Tra l’agosto del 2023 e lo stesso periodo del 2022, stando ai grafici del Kiel Institute, i fondi stanziati dai Paesi europei sono diminuiti del 90%. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, invece, il calo è dovuto al riacuirsi della crisi a Gaza e da ottobre a oggi i finanziamenti sono calati almeno del 30%. Al momento è ancora in bilico il finanziamento straordinario da 61 miliardi chiesto da Biden per Kiev e bloccato al Congresso dal partito repubblicano. I conservatori statunitensi su questo punto hanno ormai gettato la maschera: usano il loro dinego come arma contro Biden e accusano l’attuale presidente di «destinare i soldi dei contribuenti americani all’estero invece di risolvere le questioni più urgenti in patria». Se alla fine Donald Trump dovesse riuscire nell’impresa di tornare alla Casa Bianca per l’Ucraina la situazione potrebbe precipitare molto in fretta. Per ora Zelensky continua a chiedere F-16 e missili a lungo raggio, ma incassa solo promesse e rinvii a data da destinarsi.

L’altra questione è quella degli asset russi congelati dalle sanzioni imposte alla Russia dopo l’aggressione. Gli stati europei si sono detti favorevoli a una loro eventuale destinazione a favore dell’Ucraina. Una sorta di compensazione di guerra a conflitto ancora in corso. Una cifra enorme, tra i 100 e i 220 miliardi di euro. Dalla riunione di ieri a Bruxelles la consegna è stata quella di «non accelerare». Il passo decisivo (ovvero l’approvazione del piano da 50 miliardi senza veti) era già stato compiuto e forse i leader non volevano spingere troppo. Gli Usa, secondo il Wall Street Journal, stanno cercando una modalità che «non intimorisca gli investitori internazionali», ma Biden ha già proposto di scongelare 60 miliardi e destinarli a Kiev.

INSOMMA, non a caso ieri Zelesky ha commentato così la decisione dell’Ue: «è un chiaro segnale che l’Ucraina resisterà». Ma si tratta di una misura non risolutiva, e questo il presidente lo sa: il vero pericolo potrebbe venire da oltreoceano.