Se non è guerra civile, ci manca davvero poco. Da quando il 28 febbraio il primo ministro de facto Ariel Henry, da martedì bloccato a Portorico sotto la protezione degli Usa, ha annunciato in sede Caricom, la Comunità dei Caraibi, l’impegno a indire le elezioni entro l’agosto del 2025 – che è quasi come dire mai -, la già drammatica situazione di Haiti è ulteriormente precipitata, tra attacchi alle stazioni di polizia, assalti agli edifici governativi e alle grandi infrastrutture e intensi combattimenti con le forze dell’ordine. Almeno 15mila le persone costrette ad abbandonare le loro case per sfuggire alle violenze solo nell’ultima settimana, per un totale di 362.000 sfollati in tutto il paese.

ORMAI PADRONE di Port-au-Prince, le bande criminali non solo hanno appiccato le fiamme al ministero degli Interni, ma hanno anche cercato di assumere il controllo della Corte suprema e preso di mira il Palazzo nazionale, nelle cui vicinanze hanno dato vita a violenti scontri con la polizia.
A orchestrare le violenze è in particolare la coalizione di bande armate “Vivre Ensemble”, guidata dall’ex poliziotto Jimmy Cherizier, detto “Barbecue” per la sua abitudine di dare fuoco ai nemici, oggi deciso a passare per leader rivoluzionario con la sacra missione di rovesciare il governo illegittimo di Ariel Henry.

Lui, il primo ministro subentrato a Jovenel Moïse (del cui assassinio è tra l’altro uno dei principali sospettati) senza mai passare per un processo elettorale, aveva già promesso due volte di convocare le elezioni – le ultime si sono svolte sette anni fa -, impegnandosi alla fine del 2022 a lasciare il potere il 7 febbraio scorso e continuando invece a governare per decreto. Rimasto al suo posto solo grazie al sostegno della sempre miope comunità internazionale, rischia ora, tuttavia, di venire scaricato anche dai suoi più stretti alleati, gli Stati uniti, i quali hanno nel frattempo evacuato il personale non essenziale dall’ambasciata Usa ad Haiti.

NON A CASO il segretario di stato Antony Blinken, pur evitando di chiedergli esplicitamente le dimissioni, ha sollecitato Henry ad «accelerare la transizione verso un governo più ampio e inclusivo» al fine di «restaurare la pace a la stabilità nel paese», come ha reso noto in un comunicato il Dipartimento di stato. Una misura, secondo Blinken, che faciliterebbe anche il dispiegamento della missione multinazionale di sostegno alla sicurezza (Mmas), sotto la guida del Kenya, approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite il 2 ottobre scorso proprio con la particolare benedizione degli Usa.
Una missione, tuttavia, aspramente contestata tanto dalla popolazione haitiana, che la considera solo l’ultima di una serie di occupazioni straniere tutte invariabilmente e clamorosamente fallite, quanto dalla popolazione kenyana, che non ci sta a fare il gioco sporco per conto degli Stati uniti. Senza contare che, secondo fonti giornalistiche, molti elementi keniani che avevano accettato di farne parte ora starebbero rinunciando.

La situazione è del resto più grave di quella che aveva preceduto gli interventi militari stranieri del 1994 e del 2004: oggi, infatti, il rischio che i gruppi paramilitari – la cui esistenza risale all’apparizione dei “tonton macoutes” del dittatore Papá Doc Duvalier negli anni ’50 – prendano il potere è tutt’altro che remoto, come sostiene il docente brasiliano di relazioni internazionali Ricardo Seitenfus, già rappresentante dell’Organizzazione degli stati americani ad Haiti durante la missione guidata dal Brasile. Se non altro perché dispongono di armi da fuoco assai più sofisticate, in gran parte provenienti dagli Usa, contano nelle proprie file anche ex militari e poliziotti, e sono disposti a mettere in pausa le lotte tra di loro per rovesciare insieme il primo ministro.

SI AFFACCIA, però, un nuovo salvatore: il presidente salvadoregno Nayib Bukele, il quale deve la sua fama proprio al suo modello di lotta alle bande criminali, centrato sulla repressione, in assenza di qualsiasi misura preventiva, e sulla violazione dei diritti umani, comprese detenzioni arbitrarie e torture. In un post sulla piattaforma X, il «dittatore più cool del mondo» ha infatti dichiarato di «poter risolvere» la situazione ad Haiti, purché ci sia «una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e il consenso del governo» di Port-au-Prince, oltre ovviamente alla «copertura totale dei costi» della missione.