Che a Pomigliano vincessero i 5S è stato chiaro a tutti fin dalla vigilia del voto. La città di Luigi Di Maio ha scelto in massa i pentastellati: 14.366 voti, il 64,47% dei suffragi. A Forza Italia la miseria di 2.535 voti (11,37%), una percentuali quasi identica a quella del Pd (11,43%). La Lega ha fatto appena segnare l’esistenza in vita con l’1,49%. Malissimo Leu, poco sopra Salvini, con l’1,99%. Nel 2008 il Pd esordiva sulla scena come il partito a vocazione maggioritaria immaginato da Veltroni raccogliendo a Pomigliano il 35,3% dei voti, 40,8% in coalizione con l’Idv. Sinistra arcobaleno era al 5,3%, il Pdl al 35,4%, la Lega non pervenuta. Nel 2013 il quadro era già radicalmente cambiato: il Pd di Bersani era al 28,2%, in coalizione con Sel e Centro democratico raggiungeva il 32,4%. Il Pdl era al 23,2%, tutto il centrodestra si fermava al 26,5%. Il Movimento 5Stelle correva, arrivando al 25,4%.

 

5sPomigliano

Nel 2010 Di Maio si era presentato come consigliere comunale prendendo 57 preferenze, il candidato sindaco 5S si fermò al 2,5%. Tre anni dopo, Di Maio entrava in parlamento ottenendo l’incarico di vicepresidente della Camera. Alle comunali del 2015 i 5S devono fare i conti con il consenso del sindaco uscente, Lello Russo, e la lista di ferma al 17,7% ma il candidato sindaco 5S Dario De Falco (amico di Di Maio fin dal liceo) arriva al 25,28%. Il voto negli ultimi diciotto anni si è progressivamente spostato verso il Pdl-Fi e verso i pentastellati. La città operaia, forziere di consensi per il Pci, nelle ultime due tornate comunali ha premiato il centrodestra: l’ex socialista Lello Russo è stato eletto per la seconda volta nel 2015 con il 55% sotto le insegne di Forza Italia.

L’appeal calante degli azzurri, il 4 marzo, ha dovuto fare i conti con il ciclone Di Maio. In campagna elettorale è persino sceso in campo don Peppino Gambardella, il parroco di Pomigliano sempre dalla parte della Fiom e dei lavoratori Fca. Il parroco e il suo vice, don Mimmo Iervolino, erano tra i 6mila del Palazzetto dello Sport accorsi alla convention 5S alla vigilia del voto, facendo sollevare le proteste del centrodestra. Ma il capo politico pentastellato non ha fatto una piega: frequentava l’oratorio, organizzava i gruppi giovanili e don Peppino lo conosce bene.

La città alle porte di Napoli ha un passato industriale e un presente difficile. La produzione dell’auto, nata con l’Alfa Sud, impiegava con la Fiat almeno 7mila operai diretti più l’indotto all’alba dell’epoca Marchionne. Il manager mette mano alla riorganizzazione dello stabilimento Giambattista Vico, divide la struttura in bad company e new co e i primi 2mila operai vengono tagliati.

Lavoratori abituati a produrre le Alfa finiscono ad assemblare un modello di fascia bassa, la Panda, fatta rientrare dalla Polonia. Duemila vengono assorbiti dalle linee, per altri 2.500 sarà necessaria una battaglia, soprattutto della Fiom, per farli rientrare a rotazione con il contratto di solidarietà. Sono comunque fortunati perché l’indotto Fca intorno a Pomigliano è quasi del tutto sparito nel silenzio generale.

Al voto gli operai ci sono arrivati con dieci giorni di stop per il calo degli ordinativi tra gennaio e febbraio. E ancora otto giorni di fermo a marzo. Nessuno di loro sa cosa produrrà l’anno venturo, visto che la Panda torna in Polonia e Marchionne si rifiuta di rivelare i piani dell’azienda fino a giugno. Il sottosegretario alla Giustizia, Gennaro Migliore (Pd), si era presentato a Pomigliano in campagna elettorale, gli operai del Si Cobas lo hanno accolto con cori e lancio di carta igienica.

Nel 2015 l’allora premier Renzi venne in tour al Vico con Marchionne («ha fatto più lui per i lavoratori che certi sindacalisti» ripeteva ai giornalisti al seguito), fuori c’erano i 5 licenziati del reparto confino di Nola a protestare. L’azienda li aveva cacciati perché avevano inscenato l’impiccagione di un manichino con il volto dell’ad del Lingotto, dopo il suicidio di due operai Fca in cig a zero ore da sette anni. Il tribunale li ha reintegrati, l’azienda paga lo stipendio ma li tiene a casa. La sinistra istituzionale ai cancelli del Vico non l’hanno mai più vista, alle urne hanno scelto di punirla.